In memoria di Francesco Pintor
di Romano Maria Levante
Francesco carissimo,
non avrei mai voluto ricevere la telefonata che mi ha sconvolto, sei scomparso, dopo aver raggiunto il culmine come Procuratore Generale della Repubblica di Bologna, e aver poi proseguito come Garante del contribuente dell’Emilia-Romagna. Sono incredulo oltre che attonito, non è possibile, non è giusto, non può essere vero andarsene così il 3 marzo, l’ho saputo oggi nel giorno che mi si dice essere dei tuoi funerali, ci partecipo virtualmente, da Roma. E’ troppo crudele che la sorte ti abbia colpito in modo tanto spietato: perdere tua figlia Chiara vice-prefetto vicario di Modena, mentre combattevi contro un nemico invisibile a fianco della cara Wanda – colpita anch’essa pesantemente dal Covid, mentre tuo figlio avvocato lo ha avuto in forma più leggera – e dover cedere al morbo spietato quando la “guerra” contro il virus sembrava giunta al termine con le vaccinazioni, come per l’eroe di “All’Ovest niente di nuovo”!
Mai ti avevano piegato i criminali che avevi inchiodato alle loro responsabilità in nome della legge; neppure le temibili organizzazioni eversive le cui minacce avevano portato a blindare le finestre della tua bella abitazione in una zona residenziale della città, mi confidasti il tuo rammarico di averlo dovuto accettare. Nella mia immancabile telefonata di auguri pasquali dell’aprile scorso, nel pieno della “prima ondata” di pandemia, mi dicesti che con il grande giardino dove potevi passeggiare tranquillo e la via poco frequentata da te percorsa fino all’edicola per prendere il quotidiano non correvi rischi di contagio, cambiavi marciapiede se vedevi qualcuno avvicinarsi. Aggiungesti che avevi qualche timore per tua figlia le cui funzioni a Modena la esponevano agli inevitabili contatti; non potevi pensare che, dramma nel dramma, ingiustizia nell’ingiustizia, Chiara se ne sarebbe andata alcuni giorni prima di te, e non per il Covid. Di tutto questo non so darmi pace, mi chiedo angosciato perchè è stato possibile. Perché, perché, perché?
Come superare l’onda di pensieri che mi assale con il cuore in tumulto, che dire in un momento così sconvolgente, quando sembrano cadere le certezze e si è in preda allo sconforto? Ripiegarsi su sè stessi e immergersi nei ricordi, fare appello alla memoria quando la realtà diventa insostenibile pensando come sia disumano che chi, come te, si è sempre battuto per la giustizia abbia dovuto subire la massima ingiustizia che il destino potesse comminare. Il mio senso di umanità si ribella a una realtà che purtroppo si impone con la forza dei fatti, ma la mia ragione e il mio sentimento si rifiutano di accettare.
E allora per sconfiggere la morte chiamo a raccolta la vita, la tua vita, Francesco carissimo, che resta in tutto il suo splendore come se ci fossi ancora tu a testimoniarla con la tua presenza viva e vitale. A un certo punto della tua vita ci siamo incontrati, ed è bello ricordarlo per sentirti vicino.
Dalla Calabria dove sei nato il 25 giugno 1935, eri andato con la famiglia a 11 anni a Bologna, dove si sono svolti i tuoi studi ed è culminato il tuo prestigioso “cursus honorum”. E a Bologna ti ho incontrato al 2° liceo, venivo nella grande città dalla provincia, avevo frequentato a Teramo il ginnasio e 1° liceo, abbiamo condiviso come compagni di banco i due anni di liceo e la maturità al Liceo-ginnasio Marco Minghetti.
Agli inizi dell’aprile scorso, nell’isolamento ansioso del “lockdown”, il giorno del mio compleanno avevo sentito il bisogno di far rivivere in me le “radici” bolognesi entrando in contatto con l’Associazione dei Minghettiani, la presidente mi chiese di scrivere un ricordo, che fu pubblicato nelle “Testimonianze” del loro sito. Te ne parlai in una telefonata, mi aiutasti anche a ricordare il nome della nostra professoressa di scienze, che inserii nel mio scritto, spero tu abbia potuto leggere i miei ricordi, nei quali sei protagonista.
Citerò testualmente le parole di allora, non è l’emozione dolorosa di questo momento a suggerirmele, perciò rileggendole la ferita nel mio cuore si addolcisce nella memoria sempre viva. Ecco la parte della “testimonianza” in cui ci sei tu, soffusa di nostalgia cui si aggiunge ora l’amarezza portata dal dolore.
Ricordi comuni degli anni “minghettiani”
“I compagni sono ben presenti, questa volta sono il mio animo e il mio cuore ad essere investiti dalla marea di ricordi. Tra tutti Francesco Pintor, e non perché nella sua ‘escalation’ professionale sia assurto al massimo livello nella sua città, Procuratore generale della corte d’appello di Bologna, quanto perché fu lui, compagno di banco in quei due anni di liceo, a introdurre inizialmente il timido nuovo arrivato che si sentiva sperduto; mi recavo a trovarlo a casa con la sua famiglia, il padre colonnello dell’esercito, la colleganza divenne presto stretta amicizia, e così è rimasta.
“Ricordo quando andavo a vedere le gare studentesche allo Stadio, lui partecipava alle corse podistiche di resistenza, ma ricordo ben più nitidamente quando, forse mezzo secolo dopo, per un paio d’anni sono andato appositamente da Roma a Bologna per assistere alle inaugurazioni dell’Anno giudiziario che lo vedevano protagonista. Sempre con il suo piglio disincantato fuori da ogni conformismo, evidente all’inizio del solenne intervento quando, insofferente dell’ermellino, toglieva dal capo l’austero tocco scuotendo la massa dei capelli ribelli come una volta. Non ho dimenticato lo sguardo ‘assassino’ scambiato da lui, nella 3^ liceo, con una nostra compagna, Wanda Pasini, la più brava della classe in prima fila nel banco centrale, mentre io e Francesco eravamo al secondo banco nella fila laterale sinistra; di lì nacque un amore manifestatosi nel loro felice matrimonio, mi intrigava di aver colto il momento magico della prima scintilla.
“Un ricordo lieto, quando nel periodo in cui era membro del Consiglio Superiore della Magistratura ebbi il grande piacere di averlo a cena da me a Roma, si presentò con un bel mazzo di fiori per mia moglie; poi, nel giorno in cui l’ombra oscura dell’assassinio di Bachelet si proiettò sul CSM, gli telefonai a Bologna per rassicurarmi sulla sua incolumità, lo feci anche allo scoppio della bomba alla stazione, con lui e con i miei parenti in città, mia zia doveva prendere il treno in quei giorni.
“Francesco creò anche la saldatura dei ‘minghettiani’ con i ‘teramani’: nella vita professionale si incontrò con uno dei miei più cari compagni del 1° liceo a Teramo, Renato, che mi aveva raggiunto negli anni universitari a Bologna, era diventato anche vigile urbano motociclista, lo ricordo sulla sua moto scintillante nell’elegante divisa, mi sentivo piccolo piccolo sulla mia modesta Vespa. Dopo averlo saputo, sono andato più volte a Bologna per partecipare alle loro cene mensili con i colleghi, tanto era il legame affettivo; pochi anni fa Francesco mi ha dato la triste notizia della sua scomparsa nella telefonata di auguri pasquali, la successiva era per Renato, è stato un duro colpo. L’altro più caro compagno teramano a Bologna era Giorgio, molti anni dopo mi farà superare due problemi editoriali, l’ho già ricordato; stavamo spesso insieme, da dieci anni se n’è andato pure lui…
“Alla vista rasserenante di una serie di fotografie ‘d’epoca’ allontano questi pensieri: ecco la mia laurea con la corona d’alloro in testa e la festa delle matricole con il berretto universitario, è sempre con me Francesco, c’è l’impronta minghettiana, le ho messe vicino alla mia scrivania.
“Un’ulteriore immagine minghettiana che mi assale mi riporta alla recita del 3° anno, all’insegna del “dimetilchetone trinitotoluolo”, le astruse formule chimiche messe da noi alla berlina, io fui ‘immerso’ in pigiama rosa nel pentolone come novello esploratore arrostito dai selvaggi, i compagni saltellando mi lasciarono nel proscenio in tutta la mia timidezza ancora più indifesa”. Tra loro c’era, naturalmente, il compagno di banco Francesco.
“Ma irrompe una nuova immagine collegata ad un evento successivo di segno ben diverso. Riguarda il pomeriggio in cui, dopo la lezione di ginnastica, con un gruppo di compagni – sempre l’amico del cuore Francesco Pintor e ricordo anche Lello Limarzi, più grande ed ‘esperto’ di noi – andai in Via Valdonica, davanti a una di quelle “case” ancora aperte; io non salii e neppure altri di noi, mi è rimasta impressa quella via oscura dai piccoli portici maleodoranti, da antica suburra. Qualche anno fa ho rivisto in TV via Valdonica in una luce opposta, facciate e portici restaurati nel colore del cotto, la luminosità calda in contrasto con l’oscurità interiore calata su quella via con l’assassinio di Marco Biagi, una tragedia dolorosa che si sostituiva alla maliziosa memoria di allora.”
Il tuo “cursus honorum”, un’escalation appassionata
Sono ricordi lontani che tornano in questo momento, tristi e dolci insieme, perché da quegli anni prende avvio l’”escalation” che ti ha portato, Francesco carissimo, ai vertici della magistratura nella tua Bologna.
Inizia dalla tua laurea in Giurisprudenza nell’Università di Bologna nel 1958, discutendo una tesi di diritto processuale civile con il prof. Tito Carnicini, anch’io in Giurisprudenza discussi la tesi con il prof. Federico Caffè in economia politica, e da allora le nostre strade si divisero verso itinerari diversi; il tuo nel segno del Diritto come espressione della tua coscienza civile e del tuo culto della legalità.
Dopo l’ abilitazione alla professione forense nel 1960 il tuo ingresso in magistratura come uditore giudiziario impegnato nel tirocinio presso gli uffici giudiziari bolognesi, il Tribunale, la Procura, la Pretura. Poi hai operato nel territorio, Pretore a Rovigo, a Mantova ad Imola.
Dalla Pretura sei passato alla Procura, come Sostituto procuratore della Repubblica nella Procura di Bologna, quindi di nuovo funzioni giurisdizionali nel Tribunale di Bologna come Giudice nella 1^ sezione penale, dopo Giudice effettivo nella Corte d’assise, e applicato all’Ufficio di istruzione dei processi penali, non è mancata neppure un’esperienza alla 1^ sezione civile.
Nel 1982 l’importante tua nomina a Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna. Tra i tanti procedimenti in cui hai profuso il tuo impegno appassionato ne ricordo tre, di particolare rilievo, che ti hanno visto in vesti diverse: come giudice in Corte d’assise per i cosiddetti “fatti di Argelato”, l’omicidio di un brigadiere dei carabinieri nel corso di una rapina al locale zuccherificio; come pubblico ministero per la strage del treno “Italicus” e per l’omicidio del magistrato Mario Amato; il terzo che mi torna alla mente è per sequestro di persona a fini di estorsione con uccisione del sequestrato.
Alla fine degli anni ’80 la tua nomina per la nuova funzione introdotta nell’ordinamento di Procuratore della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Bologna, ricordo che mi parlasti di questo ruolo insolito. Finché, nel 1997, nominato Avvocato Generale nella Procura generale della Repubblica, ti sei avvicinato al culmine che hai raggiunto nel 2001 con l’incarico direttivo di Procuratore Generale della Repubblica per il distretto dell’Emilia Romagna. Lo sei stato per otto anni, fino alla pensione dell’aprile 2009, e ho ricordato prima quando venivo da Roma per assistere all’inaugurazione dell’anno giudiziario, felice e orgoglioso che a celebrarla fosse il mio antico compagno di banco. Mio figlio Alberto mi ricorda quando venimmo a trovarti a casa a Bologna all’inizio del nostro viaggio in Europa dopo la sua maturità.
Ma non è tutto qui il tuo “cursus honorum” giudiziario, sei stato anche componente effettivo del Consiglio Giudiziario presso la Corte di appello di Bologna per due bienni dal 1971 al 1975, e soprattutto membro del Consiglio Superiore della Magistratura per quasi 5 anni, del 18 dicembre 1976 al 9 luglio 1981; erano gli “anni di piombo”, fu assassinato dalle BR il vice presidente del CSM Bachelet, cui subentrò Conso, ne erano presidenti i capi dello Stato Leone e poi Pertini. In quel periodo sei venuto a casa mia a Roma, l’ho ricordato nella testimonianza ai nostri compagni Minghettiani.
Hai fatto parte, oltre che della 3^ Commissione referente del CSM, della Commissione ministeriale per la riforma organica dell’ordinamento giudiziario istituita nel 1982 e della Commissione ministeriale per le attività di formazione e aggiornamento professionale in vista dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale istituita nel 1987.
Con l’andata in pensione nel 2009 non ti sei fermato, tutt’altro: ed ecco senza soluzione di continuità la nomina con decreto della Commissione Regionale Tributaria a Presidente dell’Ufficio del Garante del Contribuente per l’Emilia Romagna, inizialmente per il quadriennio 2009 –2013, poi hai continuato. Me ne parlavi con la soddisfazione di poter affrontare di nuovo direttamente le questioni giuridiche che ti appassionavano dopo anni in cui l’alto livello raggiunto comportava soprattutto funzioni di coordinamento; quando con i tagli governativi non potevi più contare sui due magistrati facenti parte del tuo ufficio il lavoro divenne ancora più gravoso e ti preoccupava.
Sembrerebbe completo l’arco della tua attività instancabile all’insegna del diritto e per la legalità, ma c’è dell’altro ancora, e riguarda la condivisione di quanto acquisito con la tua passione, la tua energia e determinazione. Lo hai fatto su incarico del Consiglio Superiore della Magistratura con le tue dotte relazioni negli incontri di studio riservati ai magistrati; lo hai fatto anche come docente nella sede di Bologna della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione nei corsi di formazione per funzionari del ministero della Giustizia, sull’ “Ordinamento giudiziario”, e per funzionari alla Corte dei Conti sui “Reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”. E hai svolto numerosi seminari di studio nel corso di “Ordinamento e deontologia giudiziaria” della Scuola di specializzazione per le professioni forensi “E. Redenti” dell’Università degli studi di Bologna in vari anni accademici. La partecipazione da relatore a numerosi convegni soprattutto in materia giuridica e medico-legale fino alle serate del “Martedì di San Domenico” organizzate dal Centro domenicano a Bologna sono altre tessere del tuo straordinario mosaico professionale.
Ecco come ti sei espresso il 30 aprile 2009, nell’ultima giornata in magistratura prima della pensione, ed è stata l’unica intervista che hai concesso – al giornale bolognese “Il Resto del Carlino” – nei 47 anni di intensa attività, in un riserbo esemplare, ulteriore specchio della tua serietà. “Il mio sogno, fin da piccolo, era di fare il magistrato. Mio padre era militare, mio nonno avvocato, in famiglia c’erano zii magistrati. Sono riuscito a coronare questo sogno e il bilancio per me è positivo. Di ciò che ho fatto non cambierei nulla”.
“Quella del magistrato – dicevi all’intervistatore – è una funzione altissima, che richiede però grandi sacrifici. Sapesse quanto travaglio. Dover operare una scelta in tanti processi, senza essere sicuro della verità. Ma questo è il dovere del giudice. L’importante è poter andare a riposare, la sera, senza che la coscienza rimorda. Poter chiudere gli occhi sapendo di aver fatto il proprio dovere, in assoluta buona fede”. E lo hai fatto quando li hai chiusi l’ultima volta per sempre sapendo che hai continuato a fare il tuo dovere come Garante dei diritti del contribuente oltre che da cittadino e padre di famiglia, della tua bella famiglia.
Hai ricordato i momenti più difficili, con l’angoscia degli “anni di piombo”: quando ti precipitasti in Via Valdonica dove era stato assassinato Marco Biagi, mentre partecipavi a un incontro ai “Martedì di San Domenico”; e quando fosti tra i primi ad accorrere dopo l’omicidio del vicepresidente Bachelet negli anni del CSM. E i momenti fonte per te di soddisfazioni, come la soluzione di casi intricati di omicidi efferati.
Di quell’intervista voglio sottolineare infine la tua risposta alla domanda se consiglieresti a un giovane di diventare magistrato: “Gli direi di farlo, purché ci si approcci con passione. Questo non è come qualunque altro lavoro. Va fatto con sentimento, passione, senso di responsabilità e grandissima umiltà. Ai giovani dico di non scoraggiarsi, di non avere paura, e di farsi guidare sempre da scienza e coscienza”. Aggiungesti anche: “Servono forze nuove, giovani, che sono la linfa necessaria per un ricambio generazionale”.
Le tue doti professionali e umane, nel ricordo della nuova generazione di magistrati
Nel rievocare tutto questo, sento un profondo rammarico: non averti seguito nelle fasi esaltanti del tuo prestigioso itinerario professionale operando in un campo ben diverso – l’economia e la pianificazione aziendale a livello dirigenziale sul piano professionale, il giornalismo economico e poi culturale sul piano personale – e non poterne quindi cogliere di volta in volta gli elementi qualificanti nei quali rifulge la tua personalità. Mi dicesti che leggevi i trattati di “Logica” per affinare gli strumenti di analisi e valutazione, ma parlavi poco della tua attività forse per non mettermi in imbarazzo essendo la mia tanto lontana dalla tua. Perciò mi affido alle parole di tre magistrati della nuova generazione – le “forze nuove, giovani” che hai definito “la linfa necessaria per un ricambio generazionale” – i quali invece hanno avuto la fortuna di seguirti e mostrano l’alta considerazione e la devozione che sento di provare anch’io, pur su altre basi.
Il magistrato Carlo Coco ricorda le tue “elevatissime doti professionali e umane” che “hanno onorato l’istituzione cui apparteniamo e sono state di esempio per una generazione di colleghi dell’Emilia-Romagna”, e sintetizza in una parola il suo “commosso ricordo: autorevolezza. Era questo il messaggio che ogni giovane magistrato ha ricevuto“ da te, “ e dall’esempio di tale autorevolezza discendeva per noi una sicura motivazione a svolgere le nostre funzioni con serietà, impegno, sacrificio, ferma determinazione e tuttavia, sempre, con umiltà”; sono le doti che anche negli anni liceali rifulgevano, unite a un atteggiamento disincantato sempre volto a sdrammatizzare, ricordo che ti esibivi nei passi di danza di Gene Kelly nel tuo personale “Cantando sotto la pioggia”. Coco sottolinea che la tua “dedizione allo Stato e ai cittadini” si è manifestata , oltre che nell’attività giurisdizionale e nella guida degli uffici, “anche con l’impegno di altissimo profilo profuso nella rappresentanza istituzionale della Magistratura” nel CSM e nell’ANM; nel quale hai operato “in modo cristallino, con assoluta imparzialità, profondo senso delle istituzioni e intima convinzione dell’importanza della rappresentanza unitaria della Magistratura”. Conclude in modo accorato: “Riposa in pace, Francesco (solo ora posso darti del tu)”.
Marco D’Orazi, magistrato “figlio d’arte”, si lascia andare ai ricordi d’infanzia quando nelle vacanze accompagnava il padre tuo collega nelle camminate con te in montagna dove “brontolando” imparava “la disciplina del ‘never explain never complain’ (‘vi riposerete qunado arriveremo al rifugio’), il senso di responsabilità… la bellezza di raggiungere uno scopo comune”. E non solo, via via imparava “una lezione preziosa” che lo ha accompagnato nella “vita, professionale e non”, cioè “il senso del servizio alla Repubblica, l’equilibro personale che è alla base di ogni buon magistrato, il prendere sul serio il proprio lavoro senza personalismi”. D’Orazio ha rievocato, carissimo Francesco, che nella cena del tuo pensionamento dicesti che “il diritto e il lavoro erano una parte essenziale dell’’essere Pintor’”e che avresti continuato così, “così è stato”. Ricorda anche che la tua amata Chiara era tra i figli piccoli che come lui accompagnavano i padri magistrati nelle camminate educative prima evocate, e forse alla sua prematura scomparsa non ha retto una “fibra fortissima come la tua”, la tragedia nella tragedia. Dopo l’accorato “tu” di Coco l’altrettanto accorato “lei” di D’Orazio: “Ai grandi si dà del lei, ci dicevano. Dunque la saluto, caro Procuratore, le sia lieve la terra!”.
L’ultimo ricordo di magistrati della nuova generazione che voglio citare è di Marco Forte, lo ringrazio per aver dato queste testimonianze a una persona sua amica a me vicina che me le ha premurosamente trasmesse: anche lui “figlio d’arte” partecipava da bambino alle camminate… educative ricordate da D’Orazi, e ricorda “con nostalgia quando da inesperto uditore giudiziario mi rivolgevo al procuratore della Circondariale con l’imbarazzo del figlio del collega ed amico di una vita”. Ma aggiunge un episodio che va al di là di ogni altro giudizio per descrivere la tua più profonda sensibilità: “Tra i tanti ricordi ci sarà sempre quello di una fredda mattina all’Ospedale Maggiore dove per primo ti precipitasti per dare l’estremo saluto a mio padre, scusandoti con noi figli per averci quasi anticipati, mostrando ancora una volta quel tratto di umanità fuori dal comune che ti ha sempre contraddistinto”. Mi sono permesso di volgere al tu invece della terza persona il ricordo di te che ha Marco Forte, ancora con “l’imbarazzo del figlio del collega ed amico di una vita”, è così intenso il suo messaggio che ho voluto accomunarlo al mio. Inizia così: “Un profondo dolore, anche pensando alla tragedia della recentissima perdita di Chiara, toglie tutte le parole per ricordare un grande Uomo e Magistrato”; e dopo la rievocazione del triste momento in cui deste l’estremo saluto al padre, termina con un commosso: “Grazie di tutto Sig. Procuratore!”
“Amor omnia vincit”!
Mi unisco anch’io al ringraziamento del magistrato Marco Forte, dopo essermi immedesimato in queste rievocazioni del tanto e del troppo che si sottrae ai miei ricordi diretti. In campo giudiziario ho condiviso con te, sul nostro comune banco liceale, l’emozione alla condanna di Giovannino Guareschi per il “Ta pum del cecchino”, e al suo orgoglioso “No, niente appello”, fino alla reclusione con la toccante vignetta che lo mostra sulla via del carcere mentre saluta con le parole: “Ci appelliam solo alla Storia/ nè si offusca il nostro onore/ se la via della vittoria/ mi conduce a San Vittore”. Ricordi? era l’aprile 1954, l’anno della maturità. Parecchi anni fa ti ho fatto avere un voluminoso fascicolo con tutti gli articoli e le vignette sul tema nel “Candido” di cui ho conservato le annate, e in seguito gli articoli che ho pubblicato sulla vicenda che ci prese intimamente, la seguimmo insieme con passione. Fin da allora il tuo senso della giustizia e della legalità, insieme alla tua profonda umanità, era incrollabile; poi lo hai messo in pratica con ferma determinazione, e i riconoscimenti della nuova generazione di magistrati che ti vede come esempio luminoso devono darti la soddisfazione che quanto hai seminato ha dato e continua a dare i suoi frutti.
In questo senso, come nel finale di “Furore” di Steimbeck, ci sarà sempre la tua presenza virtuale allorchè saranno in gioco i valori in cui hai creduto e per i quali hai operato nei luoghi in cui hai svolto con fermezza e spirito di umanità in una dedizione appassionata il tuo alto servizio alla giustizia e alla legalità. Da studenti, per il tuo modo di fare disinvolto e coinvolgente, entusiasta e deciso, ti identificavo con Frank Sinatra di “Da qui all’eternità”, il film cult che vedemmo allora: ebbene ora l’hai raggiunta!
E’ arrivato il momento di salutarti, Francesco carissimo, mi accorgo che, come al tuo più giovane collega Forte, la tragedia che ti ha colpito e ci ha sconvolti toglie a me tutte le parole. Non resta che fare appello alla fede, per trovare consolazione in quello che nell’al di là potrà compensarti di quanto hai profuso nella tua vita esemplare, e le poche citazioni che ne ho potuto fare sono di per sé già molto espressive.
Per la tua carissima Wanda – la quale deve essere aiutata a trovare la forza per reagire a una tale doppia insostenibile tragedia dopo aver lottato anche lei in terapia intensiva – temo che noi potremo fare ben poco pur con la nostra affettuosa vicinanza. Sarai tu che dall’alto saprai aiutarla consolandola con la tua presenza amorevole, invisibile ma non meno viva di quella che vi ha uniti in un sentimento iniziato dai banchi del liceo e protrattosi con tanta appassionata intensità nella vostra lunga vita d’amore. “Amor omnia vincit”!
Francesco carissimo,
non avrei mai voluto ricevere la telefonata che mi ha sconvolto, sei scomparso, dopo aver raggiunto il culmine come Procuratore Generale della Repubblica di Bologna, e aver poi proseguito come Garante del contribuente dell’Emilia-Romagna. Sono incredulo oltre che attonito, non è possibile, non è giusto, non può essere vero andarsene così il 3 marzo, l’ho saputo oggi nel giorno che mi si dice essere dei tuoi funerali, ci partecipo virtualmente, da Roma. E’ troppo crudele che la sorte ti abbia colpito in modo tanto spietato: perdere tua figlia Chiara vice-prefetto vicario di Modena, mentre combattevi contro un nemico invisibile a fianco della cara Wanda – colpita anch’essa pesantemente dal Covid, mentre tuo figlio avvocato lo ha avuto in forma più leggera – e dover cedere al morbo spietato quando la “guerra” contro il virus sembrava giunta al termine con le vaccinazioni, come per l’eroe di “All’Ovest niente di nuovo”!
Mai ti avevano piegato i criminali che avevi inchiodato alle loro responsabilità in nome della legge; neppure le temibili organizzazioni eversive le cui minacce avevano portato a blindare le finestre della tua bella abitazione in una zona residenziale della città, mi confidasti il tuo rammarico di averlo dovuto accettare. Nella mia immancabile telefonata di auguri pasquali dell’aprile scorso, nel pieno della “prima ondata” di pandemia, mi dicesti che con il grande giardino dove potevi passeggiare tranquillo e la via poco frequentata da te percorsa fino all’edicola per prendere il quotidiano non correvi rischi di contagio, cambiavi marciapiede se vedevi qualcuno avvicinarsi. Aggiungesti che avevi qualche timore per tua figlia le cui funzioni a Modena la esponevano agli inevitabili contatti; non potevi pensare che, dramma nel dramma, ingiustizia nell’ingiustizia, Chiara se ne sarebbe andata alcuni giorni prima di te, e non per il Covid. Di tutto questo non so darmi pace, mi chiedo angosciato perchè è stato possibile. Perché, perché, perché?
Come superare l’onda di pensieri che mi assale con il cuore in tumulto, che dire in un momento così sconvolgente, quando sembrano cadere le certezze e si è in preda allo sconforto? Ripiegarsi su sè stessi e immergersi nei ricordi, fare appello alla memoria quando la realtà diventa insostenibile pensando come sia disumano che chi, come te, si è sempre battuto per la giustizia abbia dovuto subire la massima ingiustizia che il destino potesse comminare. Il mio senso di umanità si ribella a una realtà che purtroppo si impone con la forza dei fatti, ma la mia ragione e il mio sentimento si rifiutano di accettare.
E allora per sconfiggere la morte chiamo a raccolta la vita, la tua vita, Francesco carissimo, che resta in tutto il suo splendore come se ci fossi ancora tu a testimoniarla con la tua presenza viva e vitale. A un certo punto della tua vita ci siamo incontrati, ed è bello ricordarlo per sentirti vicino.
Dalla Calabria dove sei nato il 25 giugno 1935, eri andato con la famiglia a 11 anni a Bologna, dove si sono svolti i tuoi studi ed è culminato il tuo prestigioso “cursus honorum”. E a Bologna ti ho incontrato al 2° liceo, venivo nella grande città dalla provincia, avevo frequentato a Teramo il ginnasio e 1° liceo, abbiamo condiviso come compagni di banco i due anni di liceo e la maturità al Liceo-ginnasio Marco Minghetti.
Agli inizi dell’aprile scorso, nell’isolamento ansioso del “lockdown”, il giorno del mio compleanno avevo sentito il bisogno di far rivivere in me le “radici” bolognesi entrando in contatto con l’Associazione dei Minghettiani, la presidente mi chiese di scrivere un ricordo, che fu pubblicato nelle “Testimonianze” del loro sito. Te ne parlai in una telefonata, mi aiutasti anche a ricordare il nome della nostra professoressa di scienze, che inserii nel mio scritto, spero tu abbia potuto leggere i miei ricordi, nei quali sei protagonista.
Citerò testualmente le parole di allora, non è l’emozione dolorosa di questo momento a suggerirmele, perciò rileggendole la ferita nel mio cuore si addolcisce nella memoria sempre viva. Ecco la parte della “testimonianza” in cui ci sei tu, soffusa di nostalgia cui si aggiunge ora l’amarezza portata dal dolore.
Ricordi comuni degli anni “minghettiani”
“I compagni sono ben presenti, questa volta sono il mio animo e il mio cuore ad essere investiti dalla marea di ricordi. Tra tutti Francesco Pintor, e non perché nella sua ‘escalation’ professionale sia assurto al massimo livello nella sua città, Procuratore generale della corte d’appello di Bologna, quanto perché fu lui, compagno di banco in quei due anni di liceo, a introdurre inizialmente il timido nuovo arrivato che si sentiva sperduto; mi recavo a trovarlo a casa con la sua famiglia, il padre colonnello dell’esercito, la colleganza divenne presto stretta amicizia, e così è rimasta.
“Ricordo quando andavo a vedere le gare studentesche allo Stadio, lui partecipava alle corse podistiche di resistenza, ma ricordo ben più nitidamente quando, forse mezzo secolo dopo, per un paio d’anni sono andato appositamente da Roma a Bologna per assistere alle inaugurazioni dell’Anno giudiziario che lo vedevano protagonista. Sempre con il suo piglio disincantato fuori da ogni conformismo, evidente all’inizio del solenne intervento quando, insofferente dell’ermellino, toglieva dal capo l’austero tocco scuotendo la massa dei capelli ribelli come una volta. Non ho dimenticato lo sguardo ‘assassino’ scambiato da lui, nella 3^ liceo, con una nostra compagna, Wanda Pasini, la più brava della classe in prima fila nel banco centrale, mentre io e Francesco eravamo al secondo banco nella fila laterale sinistra; di lì nacque un amore manifestatosi nel loro felice matrimonio, mi intrigava di aver colto il momento magico della prima scintilla.
“Un ricordo lieto, quando nel periodo in cui era membro del Consiglio Superiore della Magistratura ebbi il grande piacere di averlo a cena da me a Roma, si presentò con un bel mazzo di fiori per mia moglie; poi, nel giorno in cui l’ombra oscura dell’assassinio di Bachelet si proiettò sul CSM, gli telefonai a Bologna per rassicurarmi sulla sua incolumità, lo feci anche allo scoppio della bomba alla stazione, con lui e con i miei parenti in città, mia zia doveva prendere il treno in quei giorni.
“Francesco creò anche la saldatura dei ‘minghettiani’ con i ‘teramani’: nella vita professionale si incontrò con uno dei miei più cari compagni del 1° liceo a Teramo, Renato, che mi aveva raggiunto negli anni universitari a Bologna, era diventato anche vigile urbano motociclista, lo ricordo sulla sua moto scintillante nell’elegante divisa, mi sentivo piccolo piccolo sulla mia modesta Vespa. Dopo averlo saputo, sono andato più volte a Bologna per partecipare alle loro cene mensili con i colleghi, tanto era il legame affettivo; pochi anni fa Francesco mi ha dato la triste notizia della sua scomparsa nella telefonata di auguri pasquali, la successiva era per Renato, è stato un duro colpo. L’altro più caro compagno teramano a Bologna era Giorgio, molti anni dopo mi farà superare due problemi editoriali, l’ho già ricordato; stavamo spesso insieme, da dieci anni se n’è andato pure lui…
“Alla vista rasserenante di una serie di fotografie ‘d’epoca’ allontano questi pensieri: ecco la mia laurea con la corona d’alloro in testa e la festa delle matricole con il berretto universitario, è sempre con me Francesco, c’è l’impronta minghettiana, le ho messe vicino alla mia scrivania.
“Un’ulteriore immagine minghettiana che mi assale mi riporta alla recita del 3° anno, all’insegna del “dimetilchetone trinitotoluolo”, le astruse formule chimiche messe da noi alla berlina, io fui ‘immerso’ in pigiama rosa nel pentolone come novello esploratore arrostito dai selvaggi, i compagni saltellando mi lasciarono nel proscenio in tutta la mia timidezza ancora più indifesa”. Tra loro c’era, naturalmente, il compagno di banco Francesco.
“Ma irrompe una nuova immagine collegata ad un evento successivo di segno ben diverso. Riguarda il pomeriggio in cui, dopo la lezione di ginnastica, con un gruppo di compagni – sempre l’amico del cuore Francesco Pintor e ricordo anche Lello Limarzi, più grande ed ‘esperto’ di noi – andai in Via Valdonica, davanti a una di quelle “case” ancora aperte; io non salii e neppure altri di noi, mi è rimasta impressa quella via oscura dai piccoli portici maleodoranti, da antica suburra. Qualche anno fa ho rivisto in TV via Valdonica in una luce opposta, facciate e portici restaurati nel colore del cotto, la luminosità calda in contrasto con l’oscurità interiore calata su quella via con l’assassinio di Marco Biagi, una tragedia dolorosa che si sostituiva alla maliziosa memoria di allora.”
Il tuo “cursus honorum”, un’escalation appassionata
Sono ricordi lontani che tornano in questo momento, tristi e dolci insieme, perché da quegli anni prende avvio l’”escalation” che ti ha portato, Francesco carissimo, ai vertici della magistratura nella tua Bologna.
Inizia dalla tua laurea in Giurisprudenza nell’Università di Bologna nel 1958, discutendo una tesi di diritto processuale civile con il prof. Tito Carnicini, anch’io in Giurisprudenza discussi la tesi con il prof. Federico Caffè in economia politica, e da allora le nostre strade si divisero verso itinerari diversi; il tuo nel segno del Diritto come espressione della tua coscienza civile e del tuo culto della legalità.
Dopo l’ abilitazione alla professione forense nel 1960 il tuo ingresso in magistratura come uditore giudiziario impegnato nel tirocinio presso gli uffici giudiziari bolognesi, il Tribunale, la Procura, la Pretura. Poi hai operato nel territorio, Pretore a Rovigo, a Mantova ad Imola.
Dalla Pretura sei passato alla Procura, come Sostituto procuratore della Repubblica nella Procura di Bologna, quindi di nuovo funzioni giurisdizionali nel Tribunale di Bologna come Giudice nella 1^ sezione penale, dopo Giudice effettivo nella Corte d’assise, e applicato all’Ufficio di istruzione dei processi penali, non è mancata neppure un’esperienza alla 1^ sezione civile.
Nel 1982 l’importante tua nomina a Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna. Tra i tanti procedimenti in cui hai profuso il tuo impegno appassionato ne ricordo tre, di particolare rilievo, che ti hanno visto in vesti diverse: come giudice in Corte d’assise per i cosiddetti “fatti di Argelato”, l’omicidio di un brigadiere dei carabinieri nel corso di una rapina al locale zuccherificio; come pubblico ministero per la strage del treno “Italicus” e per l’omicidio del magistrato Mario Amato; il terzo che mi torna alla mente è per sequestro di persona a fini di estorsione con uccisione del sequestrato.
Alla fine degli anni ’80 la tua nomina per la nuova funzione introdotta nell’ordinamento di Procuratore della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Bologna, ricordo che mi parlasti di questo ruolo insolito. Finché, nel 1997, nominato Avvocato Generale nella Procura generale della Repubblica, ti sei avvicinato al culmine che hai raggiunto nel 2001 con l’incarico direttivo di Procuratore Generale della Repubblica per il distretto dell’Emilia Romagna. Lo sei stato per otto anni, fino alla pensione dell’aprile 2009, e ho ricordato prima quando venivo da Roma per assistere all’inaugurazione dell’anno giudiziario, felice e orgoglioso che a celebrarla fosse il mio antico compagno di banco. Mio figlio Alberto mi ricorda quando venimmo a trovarti a casa a Bologna all’inizio del nostro viaggio in Europa dopo la sua maturità.
Ma non è tutto qui il tuo “cursus honorum” giudiziario, sei stato anche componente effettivo del Consiglio Giudiziario presso la Corte di appello di Bologna per due bienni dal 1971 al 1975, e soprattutto membro del Consiglio Superiore della Magistratura per quasi 5 anni, del 18 dicembre 1976 al 9 luglio 1981; erano gli “anni di piombo”, fu assassinato dalle BR il vice presidente del CSM Bachelet, cui subentrò Conso, ne erano presidenti i capi dello Stato Leone e poi Pertini. In quel periodo sei venuto a casa mia a Roma, l’ho ricordato nella testimonianza ai nostri compagni Minghettiani.
Hai fatto parte, oltre che della 3^ Commissione referente del CSM, della Commissione ministeriale per la riforma organica dell’ordinamento giudiziario istituita nel 1982 e della Commissione ministeriale per le attività di formazione e aggiornamento professionale in vista dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale istituita nel 1987.
Con l’andata in pensione nel 2009 non ti sei fermato, tutt’altro: ed ecco senza soluzione di continuità la nomina con decreto della Commissione Regionale Tributaria a Presidente dell’Ufficio del Garante del Contribuente per l’Emilia Romagna, inizialmente per il quadriennio 2009 –2013, poi hai continuato. Me ne parlavi con la soddisfazione di poter affrontare di nuovo direttamente le questioni giuridiche che ti appassionavano dopo anni in cui l’alto livello raggiunto comportava soprattutto funzioni di coordinamento; quando con i tagli governativi non potevi più contare sui due magistrati facenti parte del tuo ufficio il lavoro divenne ancora più gravoso e ti preoccupava.
Sembrerebbe completo l’arco della tua attività instancabile all’insegna del diritto e per la legalità, ma c’è dell’altro ancora, e riguarda la condivisione di quanto acquisito con la tua passione, la tua energia e determinazione. Lo hai fatto su incarico del Consiglio Superiore della Magistratura con le tue dotte relazioni negli incontri di studio riservati ai magistrati; lo hai fatto anche come docente nella sede di Bologna della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione nei corsi di formazione per funzionari del ministero della Giustizia, sull’ “Ordinamento giudiziario”, e per funzionari alla Corte dei Conti sui “Reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”. E hai svolto numerosi seminari di studio nel corso di “Ordinamento e deontologia giudiziaria” della Scuola di specializzazione per le professioni forensi “E. Redenti” dell’Università degli studi di Bologna in vari anni accademici. La partecipazione da relatore a numerosi convegni soprattutto in materia giuridica e medico-legale fino alle serate del “Martedì di San Domenico” organizzate dal Centro domenicano a Bologna sono altre tessere del tuo straordinario mosaico professionale.
Ecco come ti sei espresso il 30 aprile 2009, nell’ultima giornata in magistratura prima della pensione, ed è stata l’unica intervista che hai concesso – al giornale bolognese “Il Resto del Carlino” – nei 47 anni di intensa attività, in un riserbo esemplare, ulteriore specchio della tua serietà. “Il mio sogno, fin da piccolo, era di fare il magistrato. Mio padre era militare, mio nonno avvocato, in famiglia c’erano zii magistrati. Sono riuscito a coronare questo sogno e il bilancio per me è positivo. Di ciò che ho fatto non cambierei nulla”.
“Quella del magistrato – dicevi all’intervistatore – è una funzione altissima, che richiede però grandi sacrifici. Sapesse quanto travaglio. Dover operare una scelta in tanti processi, senza essere sicuro della verità. Ma questo è il dovere del giudice. L’importante è poter andare a riposare, la sera, senza che la coscienza rimorda. Poter chiudere gli occhi sapendo di aver fatto il proprio dovere, in assoluta buona fede”. E lo hai fatto quando li hai chiusi l’ultima volta per sempre sapendo che hai continuato a fare il tuo dovere come Garante dei diritti del contribuente oltre che da cittadino e padre di famiglia, della tua bella famiglia.
Hai ricordato i momenti più difficili, con l’angoscia degli “anni di piombo”: quando ti precipitasti in Via Valdonica dove era stato assassinato Marco Biagi, mentre partecipavi a un incontro ai “Martedì di San Domenico”; e quando fosti tra i primi ad accorrere dopo l’omicidio del vicepresidente Bachelet negli anni del CSM. E i momenti fonte per te di soddisfazioni, come la soluzione di casi intricati di omicidi efferati.
Di quell’intervista voglio sottolineare infine la tua risposta alla domanda se consiglieresti a un giovane di diventare magistrato: “Gli direi di farlo, purché ci si approcci con passione. Questo non è come qualunque altro lavoro. Va fatto con sentimento, passione, senso di responsabilità e grandissima umiltà. Ai giovani dico di non scoraggiarsi, di non avere paura, e di farsi guidare sempre da scienza e coscienza”. Aggiungesti anche: “Servono forze nuove, giovani, che sono la linfa necessaria per un ricambio generazionale”.
Le tue doti professionali e umane, nel ricordo della nuova generazione di magistrati
Nel rievocare tutto questo, sento un profondo rammarico: non averti seguito nelle fasi esaltanti del tuo prestigioso itinerario professionale operando in un campo ben diverso – l’economia e la pianificazione aziendale a livello dirigenziale sul piano professionale, il giornalismo economico e poi culturale sul piano personale – e non poterne quindi cogliere di volta in volta gli elementi qualificanti nei quali rifulge la tua personalità. Mi dicesti che leggevi i trattati di “Logica” per affinare gli strumenti di analisi e valutazione, ma parlavi poco della tua attività forse per non mettermi in imbarazzo essendo la mia tanto lontana dalla tua. Perciò mi affido alle parole di tre magistrati della nuova generazione – le “forze nuove, giovani” che hai definito “la linfa necessaria per un ricambio generazionale” – i quali invece hanno avuto la fortuna di seguirti e mostrano l’alta considerazione e la devozione che sento di provare anch’io, pur su altre basi.
Il magistrato Carlo Coco ricorda le tue “elevatissime doti professionali e umane” che “hanno onorato l’istituzione cui apparteniamo e sono state di esempio per una generazione di colleghi dell’Emilia-Romagna”, e sintetizza in una parola il suo “commosso ricordo: autorevolezza. Era questo il messaggio che ogni giovane magistrato ha ricevuto“ da te, “ e dall’esempio di tale autorevolezza discendeva per noi una sicura motivazione a svolgere le nostre funzioni con serietà, impegno, sacrificio, ferma determinazione e tuttavia, sempre, con umiltà”; sono le doti che anche negli anni liceali rifulgevano, unite a un atteggiamento disincantato sempre volto a sdrammatizzare, ricordo che ti esibivi nei passi di danza di Gene Kelly nel tuo personale “Cantando sotto la pioggia”. Coco sottolinea che la tua “dedizione allo Stato e ai cittadini” si è manifestata , oltre che nell’attività giurisdizionale e nella guida degli uffici, “anche con l’impegno di altissimo profilo profuso nella rappresentanza istituzionale della Magistratura” nel CSM e nell’ANM; nel quale hai operato “in modo cristallino, con assoluta imparzialità, profondo senso delle istituzioni e intima convinzione dell’importanza della rappresentanza unitaria della Magistratura”. Conclude in modo accorato: “Riposa in pace, Francesco (solo ora posso darti del tu)”.
Marco D’Orazi, magistrato “figlio d’arte”, si lascia andare ai ricordi d’infanzia quando nelle vacanze accompagnava il padre tuo collega nelle camminate con te in montagna dove “brontolando” imparava “la disciplina del ‘never explain never complain’ (‘vi riposerete qunado arriveremo al rifugio’), il senso di responsabilità… la bellezza di raggiungere uno scopo comune”. E non solo, via via imparava “una lezione preziosa” che lo ha accompagnato nella “vita, professionale e non”, cioè “il senso del servizio alla Repubblica, l’equilibro personale che è alla base di ogni buon magistrato, il prendere sul serio il proprio lavoro senza personalismi”. D’Orazio ha rievocato, carissimo Francesco, che nella cena del tuo pensionamento dicesti che “il diritto e il lavoro erano una parte essenziale dell’’essere Pintor’”e che avresti continuato così, “così è stato”. Ricorda anche che la tua amata Chiara era tra i figli piccoli che come lui accompagnavano i padri magistrati nelle camminate educative prima evocate, e forse alla sua prematura scomparsa non ha retto una “fibra fortissima come la tua”, la tragedia nella tragedia. Dopo l’accorato “tu” di Coco l’altrettanto accorato “lei” di D’Orazio: “Ai grandi si dà del lei, ci dicevano. Dunque la saluto, caro Procuratore, le sia lieve la terra!”.
L’ultimo ricordo di magistrati della nuova generazione che voglio citare è di Marco Forte, lo ringrazio per aver dato queste testimonianze a una persona sua amica a me vicina che me le ha premurosamente trasmesse: anche lui “figlio d’arte” partecipava da bambino alle camminate… educative ricordate da D’Orazi, e ricorda “con nostalgia quando da inesperto uditore giudiziario mi rivolgevo al procuratore della Circondariale con l’imbarazzo del figlio del collega ed amico di una vita”. Ma aggiunge un episodio che va al di là di ogni altro giudizio per descrivere la tua più profonda sensibilità: “Tra i tanti ricordi ci sarà sempre quello di una fredda mattina all’Ospedale Maggiore dove per primo ti precipitasti per dare l’estremo saluto a mio padre, scusandoti con noi figli per averci quasi anticipati, mostrando ancora una volta quel tratto di umanità fuori dal comune che ti ha sempre contraddistinto”. Mi sono permesso di volgere al tu invece della terza persona il ricordo di te che ha Marco Forte, ancora con “l’imbarazzo del figlio del collega ed amico di una vita”, è così intenso il suo messaggio che ho voluto accomunarlo al mio. Inizia così: “Un profondo dolore, anche pensando alla tragedia della recentissima perdita di Chiara, toglie tutte le parole per ricordare un grande Uomo e Magistrato”; e dopo la rievocazione del triste momento in cui deste l’estremo saluto al padre, termina con un commosso: “Grazie di tutto Sig. Procuratore!”
“Amor omnia vincit”!
Mi unisco anch’io al ringraziamento del magistrato Marco Forte, dopo essermi immedesimato in queste rievocazioni del tanto e del troppo che si sottrae ai miei ricordi diretti. In campo giudiziario ho condiviso con te, sul nostro comune banco liceale, l’emozione alla condanna di Giovannino Guareschi per il “Ta pum del cecchino”, e al suo orgoglioso “No, niente appello”, fino alla reclusione con la toccante vignetta che lo mostra sulla via del carcere mentre saluta con le parole: “Ci appelliam solo alla Storia/ nè si offusca il nostro onore/ se la via della vittoria/ mi conduce a San Vittore”. Ricordi? era l’aprile 1954, l’anno della maturità. Parecchi anni fa ti ho fatto avere un voluminoso fascicolo con tutti gli articoli e le vignette sul tema nel “Candido” di cui ho conservato le annate, e in seguito gli articoli che ho pubblicato sulla vicenda che ci prese intimamente, la seguimmo insieme con passione. Fin da allora il tuo senso della giustizia e della legalità, insieme alla tua profonda umanità, era incrollabile; poi lo hai messo in pratica con ferma determinazione, e i riconoscimenti della nuova generazione di magistrati che ti vede come esempio luminoso devono darti la soddisfazione che quanto hai seminato ha dato e continua a dare i suoi frutti.
In questo senso, come nel finale di “Furore” di Steimbeck, ci sarà sempre la tua presenza virtuale allorchè saranno in gioco i valori in cui hai creduto e per i quali hai operato nei luoghi in cui hai svolto con fermezza e spirito di umanità in una dedizione appassionata il tuo alto servizio alla giustizia e alla legalità. Da studenti, per il tuo modo di fare disinvolto e coinvolgente, entusiasta e deciso, ti identificavo con Frank Sinatra di “Da qui all’eternità”, il film cult che vedemmo allora: ebbene ora l’hai raggiunta!
E’ arrivato il momento di salutarti, Francesco carissimo, mi accorgo che, come al tuo più giovane collega Forte, la tragedia che ti ha colpito e ci ha sconvolti toglie a me tutte le parole. Non resta che fare appello alla fede, per trovare consolazione in quello che nell’al di là potrà compensarti di quanto hai profuso nella tua vita esemplare, e le poche citazioni che ne ho potuto fare sono di per sé già molto espressive.
Per la tua carissima Wanda – la quale deve essere aiutata a trovare la forza per reagire a una tale doppia insostenibile tragedia dopo aver lottato anche lei in terapia intensiva – temo che noi potremo fare ben poco pur con la nostra affettuosa vicinanza. Sarai tu che dall’alto saprai aiutarla consolandola con la tua presenza amorevole, invisibile ma non meno viva di quella che vi ha uniti in un sentimento iniziato dai banchi del liceo e protrattosi con tanta appassionata intensità nella vostra lunga vita d’amore. “Amor omnia vincit”!
Testimonianza di Romano Maria Levante
UN MINGHETTIANO DEI PRIMI ANNI ’50 : RICORDI DI SCUOLA E DI VITA
Immergersi nei ricordi degli anni al Liceo Minghetti ed esternarli pur senza poterne rendere l’intensità, per me non è soltanto un tuffo nel passato nella continuità esistenziale che non separa i diversi anni della propria vita quando non segnino particolari cesure; il mio è qualcosa di più intenso del normale viaggio sulla macchina del tempo che emoziona chiunque lo compia, perché il liceo Minghetti ha segnato proprio quella cesura esistenziale che dà un sapore speciale ai ricordi.
Non è stata soltanto l’evoluzione del normale ciclo scolastico, ma il salto dalla cittadina d’Abruzzo dei miei studi medi e ginnasiali, Teramo - dopo le elementari nel piccolo paese collinare di Colonnella e, all’inizio, la nascita nel borgo montano di Pietracamela alle falde del Gran Sasso d’Italia - .alla grande Bologna con il trasferimento della mia famiglia quando mio fratello iniziava gli studi universitari; la presenza di nostra zia in tale città convinse i miei al grande salto.
Quindi non solo nuovo istituto scolastico, ma soprattutto nuova città, nuova vita nel mio percorso esistenziale: un “abruzzese a Bologna”, per di più provinciale, come “un marziano a Roma”. Non solo, ma lasciando Bologna dopo l'università per Roma, a questi motivi se n'è aggiunto un altro, il distacco dalla città che - con gli anni al Minghetti in testa - è rimasta impressa nella mia memoria.
E’ già molto per dare un carattere del tutto speciale al mio viaggio nel passato, ma non è tutto. Il mio ritorno così tardivo alle “origini” si spiega con un’altra circostanza inconsueta, legata comunque all’antefatto della storia, per così dire. Nel quarantennale della maturità, il 1994, non ebbi sentore di incontri e "celebrazioni" dei miei compagni del Minghetti; ne parlai con gli antichi compagni teramani del ginnasio e 1° liceo - essendo entrato al Minghetti nel 2° liceo - e mi “adottarono”, partecipai alla loro solenne “celebrazione” con la “lectio magistralis” colta quanto arguta dei vecchi professori nell’Aula magna, ne pubblicai il resoconto con i testi dei loro interventi nel periodico che dirigevo parecchi anni dopo.
L’anno successivo, un’ulteriore “rimpatriata” in occasione della festa delle “virtù”, la tradizionale ricorrenza abruzzese che segna l’inizio della primavera: ebbene, il caro antico compagno Giorgio, a cui avevo confidato che la pubblicazione del mio impegnativo libro-inchiesta si era arenata presso l’editore romano, ne parlò pur nel clima conviviale e goliardico della serata, e nei giorni successivi ebbi la sorpresa della telefonata dell’editore abruzzese cui si era rivolto l’antico professore di latino che partecipava al simposio e si era premurato di aiutare in modo decisivo il suo allievo di un tempo; nel 1996 il libro fu pubblicato e il professore ne fu il presentatore privilegiato alla sezione dannunziana della “Fiera del libro” di Silvi marina. Dieci anni dopo, sempre per iniziativa di Giorgio, gli stessi compagni si impegnarono ad acquistare diverse copie ciascuno del mio successivo romanzo-verità, aiutandomi a superare il nuovo problema editoriale sorto per la richiesta dell’editore di contribuire alla copertura delle spese con garanzie di acquisto; dopo l’abbrivio di questo soccorso generoso mi impegnai in uno “scouting” che ebbe successo, la 1° edizione fu esaurita in un mese con queste prenotazioni anticipate, l’editore lo scrisse nella fascetta. Poi incontri annuali con Giorgio e altri in simposi culturali in un paese montano per me evocativo. Ce n’era abbastanza per sentire l’”adozione” come affiliazione affettuosa e soprattutto oltremodo generosa: il ricordo del Minghetti in tutti quegli anni si è forzatamente allontanato e sbiadito.
E’ tornato in modo prepotente nella mia mente e nel mio cuore per un caso fortuito che mi ha fatto rintracciare una cara compagna minghettiana, Maria Zannotti, all’insegna del DNA oggetto delle sue ricerche cui mi stavo interessando per degli articoli, ebbi il grande piacere di pubblicare il suo. Di qui l’ondata nostalgica per gli anni bolognesi, l’idea di venire alla “Reunion” che - siamo vicini nel tempo - non andò a buon fine per dei contrattempi dopo avermi emozionato al solo pensarci.
Ma è ora di salire sulla macchina del tempo, dopo averne indicato il percorso così inedito. Giunto a Bologna, i miei primi passi nella città coincidono con la “scoperta” del tram, mi risuonano ancora nelle orecchie i suoni dei campanelli e gli altri rumori delle rotaie ch sentivo per la prima volta , fu l’iniziale identificazione della città, della nuova vita.
Subito ci fu la scelta dell’istituto cui iscrivermi, non fu meditata ma dettata da un giudizio soltanto esteriore, abitavo con la mia famiglia su Via Massarenti, quindi ero indifferente alle ubicazioni dei due licei, Minghetti e Galvani. Li visitai dall’esterno, il primo mi sembrò più arioso e meno severo, tutto qui, una preferenza del tutto superficiale ma istintiva, della cui bontà sono stato convinto in seguito quando, nel corso della vita scolastica, ho sentito sempre l’orgoglio di minghettiano.
Rammento le corse mattutine dal capolinea del tram San Vitale in via Orefici - dove, terminate le partite domenicali, c’erano capannelli di tifosi - fino al liceo in via Nazario Sauro, la traversa di via Ugo Bassi, spesso vi arrivavo col fiatone ma ero puntuale a scuola. Due pensieri affollano la mia mente, di segno opposto: mi ero iscritto al 2° liceo, il 1° frequentato a Teramo, ripeto, e l’insegnante di scienze, la prof.ssa Oddo, nell’appello iniziale chiese a me, nuovo venuto nella sua classe, cosa avevo studiato l’anno precedente: mancava la chimica organica che non rientrava nei programmi teramani, mentre in quelli bolognesi sì, di qui la sua lapidaria conclusione, “in questo momento sei l’ultimo della mia classe!”. Più avanti, l’anno dopo, una compensazione: tornato a scuola dopo un’ assenza per malattia mi fu detto che era stato riportato il compito in classe di italiano e la prof.ssa Concialini aveva letto il mio, con il voto più alto, ai compagni; non potetti “gustarmi” la scena per l’assenza, ma era stato meglio, pensai, per l’imbarazzo che avrei provato!
Dinanzi alla mia mente e alla memoria passano le figure dei professori, la meticolosità di Moioli in latino e greco, con le sue lezioni accurate, mentre del prof. Cosimini, di storia e filosofia, oltre alla profondità culturale ricordo il tono appassionato con cui evocava la sua Portofino, rimase un sogno la visita scolastica che non ci fu mai, ma eravamo “salvi” dalle interrogazioni allorché ne parlava.
I compagni sono ben presenti, questa volta sono il mio animo e il mio cuore ad essere investiti dalla marea di ricordi. Tra tutti Francesco Pintor, e non perché nella sua “escalation” professionale sia assurto al massimo livello nella sua città, Procuratore generale della corte d’appello di Bologna, quanto perché fu lui, compagno di banco in quei due anni di liceo, a introdurre inizialmente il timido nuovo arrivato che si sentiva sperduto; mi recavo a trovarlo a casa con la sua famiglia, il padre colonnello dell’esercito, la colleganza divenne presto stretta amicizia, e così è rimasta.
Ricordo quando andavo a vedere le gare studentesche allo Stadio, lui partecipava alle corse podistiche di resistenza, ma ricordo ben più nitidamente quando, forse mezzo secolo dopo, per un paio d’anni sono andato appositamente da Roma a Bologna per assistere alle inaugurazioni dell’Anno giudiziario che lo vedevano protagonista. Sempre con il suo piglio disincantato fuori da ogni conformismo, evidente all’inizio del solenne intervento quando, insofferente dell’ermellino, toglieva dal capo l’austero tocco scuotendo la massa dei capelli ribelli come una volta. Non ho dimenticato lo sguardo “assassino” scambiato da lui, nella 3^ liceo, con una nostra compagna, Wanda Pasini, la più brava della classe in prima fila nel banco centrale, mentre io e Francesco eravamo al secondo banco nella fila laterale sinistra; di lì nacque un amore manifestatosi poi nel loro felice matrimonio, mi intrigava di aver colto il momento magico della prima scintilla.
Un ricordo lieto, quando nel periodo in cui era membro del Consiglio Superiore della Magistratura ebbi il grande piacere di averlo a cena da me a Roma, si presentò con un bel mazzo di fiori per mia moglie; poi, nel giorno in cui l’ombra oscura dell’assassinio di Bachelet si proiettò sul CSM, gli telefonai a Bologna per rassicurarmi sulla sua incolumità, lo feci anche allo scoppio della bomba alla stazione, con lui e con i miei parenti in città, mia zia doveva prendere il treno in quei giorni.
Francesco creò anche la saldatura dei minghettiani con i “teramani”: nella vita professionale si incontrò con uno dei miei più cari compagni del 1° liceo a Teramo, Renato, che mi aveva raggiunto negli anni universitari a Bologna, era diventato anche vigile urbano motociclista, lo ricordo sulla sua moto scintillante nell’elegante divisa, mi sentivo piccolo piccolo sulla mia modesta Vespa. Dopo averlo saputo, sono andato più volte a Bologna per partecipare alle loro cene mensili con i colleghi, tanto era il legame affettivo; pochi anni fa Francesco mi ha dato la triste notizia della sua scomparsa nella telefonata di auguri pasquali, la successiva era per Renato, è stato un duro colpo. L’altro più caro compagno teramano a Bologna era Giorgio, molti anni dopo mi farà superare due problemi editoriali, l’ho già ricordato; stavamo spesso insieme, da dieci anni se n’è andato pure lui.. .
Alla vista rasserenante di una serie di fotografie “d’epoca” allontano questi pensieri: ecco la mia laurea con la corona d’alloro in testa e la festa delle matricole con il berretto universitario, è sempre con me Francesco, c’è l’impronta minghettiana, le ho messe vicino alla mia scrivania.
Sulla festa delle matricole un’altra ondata di ricordi, i nuovi iscritti del 1° anno erano liberi dall’incubo del “papiro” con i “codicilli” e relative “penitenze” imposte dagli “anziani”, che fingendo di essere matricole facevano anche trabocchetti ai “fagioli” del 2° anno. Ma per tutti - purché con il berretto universitario in testa - quel giorno c’era l’abbuffata pomeridiana e serale dei film di prima visione a ingresso gratuito, l’unica occasione per chi come noi normalmente andava al massimo alle seconde visioni. Mi è rimasto impresso il film russo “Il quarantunesimo” alla’”Arena del Sole” in fondo a via Indipendenza, un sogno proibito che si realizzava… Poi tornavamo a brindare “con i bicchieri colmi d’acqua”; come si faceva, virtualmente, nel bar del quartiere, seduti in file ordinate davanti al televisore per vedere “Lascia o raddoppia”; in seguito andavo con mio fratello a casa delle gemelle Anna e Giovanna, amiche e nulla di più, per l’imperdibile appuntamento del giovedì sera con la trasmissione, finché bastava andare nei cinema, lo schermo lasciava il posto all’apparecchio televisivo, i personaggi del film ai concorrenti di Mike. “Altri tempi, altri miti” per usare il titolo della 16^ Quadriennale di Roma che nel 2016 ho commentato come “un salto nel futuro”, questo è un salto altrettanto emozionante nel passato.
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Tornano i ricordi dei compagni di scuola, ripenso a Sandro Degli Angeli, divenuto chimico affermato che ha escogitato importanti metodi di conservazione degli alimenti, come la “cupola” azotata del “Parrozzo”, il dolce “dannunziano” citato nelle lettere del Poeta a Fiammetta, su cui ho basato il mio libro-inchiesta “D’Annunzio l’uomo del Vittoriale”; ma non è finita qui, con Sandro ci siamo rivisti molti anni fa a Pescara allorché il produttore del “Parrozzo” ha creato un nuovo insperato contatto tra noi dopo decenni, finché abbiamo preparato insieme uno studio scientifico-economico per l’ipotizzata acquisizione, non a buon fine, di un’industria alimentare allocata alla Gepi. Ma più che questi, mi tornano i ricordi di Sandro mentre realizzava il salto in alto più elevato a piedi uniti pur senza doti atletiche, già mostrava in questo la capacità di ottimizzare i risultati.
Sulle doti atletiche, ammiravo quelle di Concato, che frequentava un’altra classe e si esibiva nell’ora di ginnastica con acrobatiche evoluzioni e scalate alla Tarzan, io mingherlino mi sentivo ancora più timoroso negli esercizi alla corda e alla pertica; né mi appassionavo agli intermezzi di pallavolo che il professore di ginnastica prediligeva, neppure il pallone era mio amico…
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Tante erano le ragazze compagne di scuola, ho già citato Maria Zannotti, per lei scoccò in me una “scintilla” durante una gita scolastica in treno, mi sembra a Ferrara, ma finita lì, anche se all’esame di maturità dopo il mio appello andavo a casa sua per aiutarla a ripassare le materie, l’attrazione era rimasta. Diecine di anni dopo, senza rivederla, il nuovo contatto di cui ho già parlato con lei che era divenuta ricercatrice e docente di materie biologiche all’Università di Bologna. Un medico di Teramo mi parlò di lei che aveva avuto come insegnante all’Università restandone affascinato, non mi ingelosii… ma mi precipitai su Internet per rintracciarla, ne nacque l’articolo di cui ho detto.
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Un’ulteriore immagine minghettiana che mi assale mi riporta alla recita del 3° anno, all’insegna del “dimetilchetone trinitotoluolo”, le astruse formule chimiche messe da noi alla berlina, io fui “immerso” in pigiama rosa nel pentolone come novello esploratore arrostito dai selvaggi, i compagni saltellando mi lasciarono nel proscenio in tutta la mia timidezza ancora più indifesa.
Ora che ho evocato l’ultimo anno, mi torna in mente la gita scolastica del film “Terza liceo” di Luciano Emmer, mi sentivo come lo studente con gli occhiali del film, diligente e introverso, e la scena del professore che lanciava palle di neve a due suoi studenti che si baciavano e veniva tacitato con le parole “professore, non faccia il professore!”, la riferivo ai compagni intraprendenti. Ho ricordato il regista Emmer alla sua scomparsa con un breve, commosso profilo giornalistico.
Sull’esame di maturità, non posso non citare l’”incidente” con un cronista del “Resto del Carlino” il quale chiese a me e ad altri come era andata l’interrogazione, la mia era in storia. Mi accalorai nel riferire la mia risposta di tono patriottico alla domanda dell’esaminatore sulla contraddizione tra la buona amministrazione austriaca a Milano e la ribellione dei cittadini. Il giorno dopo sul quotidiano, con tanto di mio nome e cognome, fu scritto che avevo detto di avere “sbaragliato la commissione sotto il fuoco di fila delle mie risposte”, oggi sarebbe tra le “fake news”, ma non fu innocua; al turno di esame successivo per l’altro gruppo di materie fui apostrofato dagli esaminatori all’incirca con queste parole: “Finalmente possiamo vedere all’opera chi ci ha sbaragliato con il fuoco di fila delle sue risposte”, e relativo gesto del mitra: lascio immaginare il mio stato d’animo. Lo cito perché contemporaneamente, sullo stesso giornale, c’era la risposta di Giancarlo della Giovanpaola, un compagno di scuola di altra sezione, delle cui parole ricordo che erano invece paludate e istituzionali, elogiando lo sforzo della commissione di esplorare la struttura mentale dell’esaminato, e così via: il “politicamente corretto” dinanzi alla mia sfrontata presunzione….
Fu il mio primo “incidente”giornalistico; qualche anno fa ne ho avuto un altro, dalla parte però del giornalista, quando una artista, insieme all’espositore, dopo una mostra in cui aveva accettato di essere da me fotografata davanti alle sue opere - volti dipinti su vecchie porte - pretendeva con insistenza che fossero rimosse le immagini già pubblicate e sostituite con delle foto di repertorio; naturalmente ho rifiutato e non potevo fare altrimenti. E’ venuto spontaneo associare i due episodi.
Altre immagini mi tornano alla mente, la finale dei mondiali di calcio vinta dalla Germania, per cui facevo il tifo, sull’allora grande Ungheria, vista alla Tv in casa della compagna Paola Zerbini a Riccione dove mi ero fermato nel ritorno in Abruzzo a maturità appena conclusa, una gita in bicicletta con il compagno di San Pietro in Casale, Buggini; giravo nei viali di circonvallazione con la mia “Testi”, prima di passare alla Vespa sbuffante, che faticava sulla ripida salita per San Luca.
Ma irrompe una nuova immagine collegata ad un evento successivo di segno ben diverso. Riguarda il pomeriggio in cui, dopo la lezione di ginnastica, con un gruppo di compagni - sempre l’amico del cuore Francesco Pintor e ricordo anche Lello Limarzi, più grande ed “esperto” di noi - andai in Via Valdonica, davanti a una di quelle “case” ancora aperte; io non salii e neppure altri di noi, mi è rimasta impressa quella via oscura dai piccoli portici maleodoranti, da antica suburra. Qualche anno fa ho rivisto in TV via Valdonica in una luce opposta, facciate e portici restaurati nel colore del cotto, la luminosità calda in contrasto con l’oscurità interiore calata su quella via con l’assassinio di Marco Biagi, una tragedia dolorosa che si sostituiva alla maliziosa memoria di allora.
Evocati i portici di via Valdonica non posso non ricordare quelli di via Nazario Sauro, la strada del Minghetti che percorrevo ogni mattina, piccoli anch’essi, e i grandi portici nei quali si sente il respiro dell’anima bolognese, giustamente divenuti “patrimonio dell’umanità” per l’Unesco: dal Pavaglione a via dell’Indipendenza, ai portici delle vie San Vitale e Mazzini, Zamboni e Santo Stefano, fino a quelli della salita verso il Santuario di San Luca, che iniziano in prossimità dello Stadio dove giocava ”il Bologna che tremare il mondo fa”. Quando fu disputata a Roma la partita contro l’Inter nello spareggio per lo scudetto, ero sugli spalti dello Stadio Olimpico con mio fratello: incontrammo sulla gradinata, vicino a noi per un caso fortunato, l’ antico collega di studi bolognesi Romano Ghini, che aveva seguito la propria vocazione frequentando il Centro sperimentale di cinematografia, facemmo il tifo, poi esultammo insieme per la vittoria; voleva fare il regista, successivamente ho visto il suo nome nei titoli di coda di diversi film. .
Così scivoliamo nei ricordi universitari che sono coinvolgenti, ripenso alle lezioni e alle giornate nella Biblioteca del Pavaglione, dell’Istituto Giuridico e della Johns Hopkins University, per le normali consultazioni e poi per la tesi, a Furio Bosello con la sua presenza autorevole, ad Alberto Calda con la sua invadenza di ascendenza carneluttiana, e a tanti altri. Di quegli anni resta nel mio cuore l’immagine di Edda, la fanciulla dalla coda di cavallo conosciuta in tram, un “flirt” dolcissimo e nulla più, ricordo quando al mio compleanno mi fece avere a casa un mazzo di tulipani e il disco “Ciao, ciao, bambina…”. E l’immagine di Stefania, attesa spesso nel suo itinerario in via Massarenti senza mai poterle parlarle, aveva il volto della fanciulla del film “La leggenda del pianista sull’oceano”, svanita nelle dissolvenze della comune timidezza; la copertina del mio romanzo-verità “Rolando e i suoi fratelli. L’America!” riproduce la scena del film con il piroscafo dinanzi alla Statua della Libertà, per me dentro la nave c’è quell’immagine di sogno svanita.
Sono sentimenti di accorata dolcezza, ai quali si aggiungono i ricordi cittadini, con impresse le Due Torri, il Nettuno e Piazza Maggiore, nel pensiero nostalgico per una città mai dimenticata.
Che cosa ha suscitato l’immersione nei ricordi bolognesi? E’ un’ondata di pensieri e immagini che continuerebbe ancora, riportandomi alle lunghe nebbie autunnali fino all’esplodere dell’estate. La primavera non tardava mai ad arrivare - lo dico risuonandomi dentro le parole della bella canzone di Franco Battiato - anche perché era qualcosa di più di una semplice stagione. Era la primavera della vita, ed è merito della presidente dei Minghettiani se ho potuto evocarla in questo empito emotivo e sentimentale: mi ha accolto come il “figliol prodigo”, con il “vitello grasso”, del resto il coronavirus corrisponde alla carestia di allora, con l’allontanamento forzato dagli affetti.
Di qui è nato il bisogno irrefrenabile - che covava da tempo ma è emerso nel giorno del mio compleanno trascorso nella clausura del lungo isolamento - di un contatto diretto con una parte così importante della mia vita che si identifica in un nome: il Minghetti, “l’amico ritrovato”.
Romano Maria Levante, 2^ e 3^ C , Liceo Minghetti, 1952-53 e 1953-54
Immergersi nei ricordi degli anni al Liceo Minghetti ed esternarli pur senza poterne rendere l’intensità, per me non è soltanto un tuffo nel passato nella continuità esistenziale che non separa i diversi anni della propria vita quando non segnino particolari cesure; il mio è qualcosa di più intenso del normale viaggio sulla macchina del tempo che emoziona chiunque lo compia, perché il liceo Minghetti ha segnato proprio quella cesura esistenziale che dà un sapore speciale ai ricordi.
Non è stata soltanto l’evoluzione del normale ciclo scolastico, ma il salto dalla cittadina d’Abruzzo dei miei studi medi e ginnasiali, Teramo - dopo le elementari nel piccolo paese collinare di Colonnella e, all’inizio, la nascita nel borgo montano di Pietracamela alle falde del Gran Sasso d’Italia - .alla grande Bologna con il trasferimento della mia famiglia quando mio fratello iniziava gli studi universitari; la presenza di nostra zia in tale città convinse i miei al grande salto.
Quindi non solo nuovo istituto scolastico, ma soprattutto nuova città, nuova vita nel mio percorso esistenziale: un “abruzzese a Bologna”, per di più provinciale, come “un marziano a Roma”. Non solo, ma lasciando Bologna dopo l'università per Roma, a questi motivi se n'è aggiunto un altro, il distacco dalla città che - con gli anni al Minghetti in testa - è rimasta impressa nella mia memoria.
E’ già molto per dare un carattere del tutto speciale al mio viaggio nel passato, ma non è tutto. Il mio ritorno così tardivo alle “origini” si spiega con un’altra circostanza inconsueta, legata comunque all’antefatto della storia, per così dire. Nel quarantennale della maturità, il 1994, non ebbi sentore di incontri e "celebrazioni" dei miei compagni del Minghetti; ne parlai con gli antichi compagni teramani del ginnasio e 1° liceo - essendo entrato al Minghetti nel 2° liceo - e mi “adottarono”, partecipai alla loro solenne “celebrazione” con la “lectio magistralis” colta quanto arguta dei vecchi professori nell’Aula magna, ne pubblicai il resoconto con i testi dei loro interventi nel periodico che dirigevo parecchi anni dopo.
L’anno successivo, un’ulteriore “rimpatriata” in occasione della festa delle “virtù”, la tradizionale ricorrenza abruzzese che segna l’inizio della primavera: ebbene, il caro antico compagno Giorgio, a cui avevo confidato che la pubblicazione del mio impegnativo libro-inchiesta si era arenata presso l’editore romano, ne parlò pur nel clima conviviale e goliardico della serata, e nei giorni successivi ebbi la sorpresa della telefonata dell’editore abruzzese cui si era rivolto l’antico professore di latino che partecipava al simposio e si era premurato di aiutare in modo decisivo il suo allievo di un tempo; nel 1996 il libro fu pubblicato e il professore ne fu il presentatore privilegiato alla sezione dannunziana della “Fiera del libro” di Silvi marina. Dieci anni dopo, sempre per iniziativa di Giorgio, gli stessi compagni si impegnarono ad acquistare diverse copie ciascuno del mio successivo romanzo-verità, aiutandomi a superare il nuovo problema editoriale sorto per la richiesta dell’editore di contribuire alla copertura delle spese con garanzie di acquisto; dopo l’abbrivio di questo soccorso generoso mi impegnai in uno “scouting” che ebbe successo, la 1° edizione fu esaurita in un mese con queste prenotazioni anticipate, l’editore lo scrisse nella fascetta. Poi incontri annuali con Giorgio e altri in simposi culturali in un paese montano per me evocativo. Ce n’era abbastanza per sentire l’”adozione” come affiliazione affettuosa e soprattutto oltremodo generosa: il ricordo del Minghetti in tutti quegli anni si è forzatamente allontanato e sbiadito.
E’ tornato in modo prepotente nella mia mente e nel mio cuore per un caso fortuito che mi ha fatto rintracciare una cara compagna minghettiana, Maria Zannotti, all’insegna del DNA oggetto delle sue ricerche cui mi stavo interessando per degli articoli, ebbi il grande piacere di pubblicare il suo. Di qui l’ondata nostalgica per gli anni bolognesi, l’idea di venire alla “Reunion” che - siamo vicini nel tempo - non andò a buon fine per dei contrattempi dopo avermi emozionato al solo pensarci.
Ma è ora di salire sulla macchina del tempo, dopo averne indicato il percorso così inedito. Giunto a Bologna, i miei primi passi nella città coincidono con la “scoperta” del tram, mi risuonano ancora nelle orecchie i suoni dei campanelli e gli altri rumori delle rotaie ch sentivo per la prima volta , fu l’iniziale identificazione della città, della nuova vita.
Subito ci fu la scelta dell’istituto cui iscrivermi, non fu meditata ma dettata da un giudizio soltanto esteriore, abitavo con la mia famiglia su Via Massarenti, quindi ero indifferente alle ubicazioni dei due licei, Minghetti e Galvani. Li visitai dall’esterno, il primo mi sembrò più arioso e meno severo, tutto qui, una preferenza del tutto superficiale ma istintiva, della cui bontà sono stato convinto in seguito quando, nel corso della vita scolastica, ho sentito sempre l’orgoglio di minghettiano.
Rammento le corse mattutine dal capolinea del tram San Vitale in via Orefici - dove, terminate le partite domenicali, c’erano capannelli di tifosi - fino al liceo in via Nazario Sauro, la traversa di via Ugo Bassi, spesso vi arrivavo col fiatone ma ero puntuale a scuola. Due pensieri affollano la mia mente, di segno opposto: mi ero iscritto al 2° liceo, il 1° frequentato a Teramo, ripeto, e l’insegnante di scienze, la prof.ssa Oddo, nell’appello iniziale chiese a me, nuovo venuto nella sua classe, cosa avevo studiato l’anno precedente: mancava la chimica organica che non rientrava nei programmi teramani, mentre in quelli bolognesi sì, di qui la sua lapidaria conclusione, “in questo momento sei l’ultimo della mia classe!”. Più avanti, l’anno dopo, una compensazione: tornato a scuola dopo un’ assenza per malattia mi fu detto che era stato riportato il compito in classe di italiano e la prof.ssa Concialini aveva letto il mio, con il voto più alto, ai compagni; non potetti “gustarmi” la scena per l’assenza, ma era stato meglio, pensai, per l’imbarazzo che avrei provato!
Dinanzi alla mia mente e alla memoria passano le figure dei professori, la meticolosità di Moioli in latino e greco, con le sue lezioni accurate, mentre del prof. Cosimini, di storia e filosofia, oltre alla profondità culturale ricordo il tono appassionato con cui evocava la sua Portofino, rimase un sogno la visita scolastica che non ci fu mai, ma eravamo “salvi” dalle interrogazioni allorché ne parlava.
I compagni sono ben presenti, questa volta sono il mio animo e il mio cuore ad essere investiti dalla marea di ricordi. Tra tutti Francesco Pintor, e non perché nella sua “escalation” professionale sia assurto al massimo livello nella sua città, Procuratore generale della corte d’appello di Bologna, quanto perché fu lui, compagno di banco in quei due anni di liceo, a introdurre inizialmente il timido nuovo arrivato che si sentiva sperduto; mi recavo a trovarlo a casa con la sua famiglia, il padre colonnello dell’esercito, la colleganza divenne presto stretta amicizia, e così è rimasta.
Ricordo quando andavo a vedere le gare studentesche allo Stadio, lui partecipava alle corse podistiche di resistenza, ma ricordo ben più nitidamente quando, forse mezzo secolo dopo, per un paio d’anni sono andato appositamente da Roma a Bologna per assistere alle inaugurazioni dell’Anno giudiziario che lo vedevano protagonista. Sempre con il suo piglio disincantato fuori da ogni conformismo, evidente all’inizio del solenne intervento quando, insofferente dell’ermellino, toglieva dal capo l’austero tocco scuotendo la massa dei capelli ribelli come una volta. Non ho dimenticato lo sguardo “assassino” scambiato da lui, nella 3^ liceo, con una nostra compagna, Wanda Pasini, la più brava della classe in prima fila nel banco centrale, mentre io e Francesco eravamo al secondo banco nella fila laterale sinistra; di lì nacque un amore manifestatosi poi nel loro felice matrimonio, mi intrigava di aver colto il momento magico della prima scintilla.
Un ricordo lieto, quando nel periodo in cui era membro del Consiglio Superiore della Magistratura ebbi il grande piacere di averlo a cena da me a Roma, si presentò con un bel mazzo di fiori per mia moglie; poi, nel giorno in cui l’ombra oscura dell’assassinio di Bachelet si proiettò sul CSM, gli telefonai a Bologna per rassicurarmi sulla sua incolumità, lo feci anche allo scoppio della bomba alla stazione, con lui e con i miei parenti in città, mia zia doveva prendere il treno in quei giorni.
Francesco creò anche la saldatura dei minghettiani con i “teramani”: nella vita professionale si incontrò con uno dei miei più cari compagni del 1° liceo a Teramo, Renato, che mi aveva raggiunto negli anni universitari a Bologna, era diventato anche vigile urbano motociclista, lo ricordo sulla sua moto scintillante nell’elegante divisa, mi sentivo piccolo piccolo sulla mia modesta Vespa. Dopo averlo saputo, sono andato più volte a Bologna per partecipare alle loro cene mensili con i colleghi, tanto era il legame affettivo; pochi anni fa Francesco mi ha dato la triste notizia della sua scomparsa nella telefonata di auguri pasquali, la successiva era per Renato, è stato un duro colpo. L’altro più caro compagno teramano a Bologna era Giorgio, molti anni dopo mi farà superare due problemi editoriali, l’ho già ricordato; stavamo spesso insieme, da dieci anni se n’è andato pure lui.. .
Alla vista rasserenante di una serie di fotografie “d’epoca” allontano questi pensieri: ecco la mia laurea con la corona d’alloro in testa e la festa delle matricole con il berretto universitario, è sempre con me Francesco, c’è l’impronta minghettiana, le ho messe vicino alla mia scrivania.
Sulla festa delle matricole un’altra ondata di ricordi, i nuovi iscritti del 1° anno erano liberi dall’incubo del “papiro” con i “codicilli” e relative “penitenze” imposte dagli “anziani”, che fingendo di essere matricole facevano anche trabocchetti ai “fagioli” del 2° anno. Ma per tutti - purché con il berretto universitario in testa - quel giorno c’era l’abbuffata pomeridiana e serale dei film di prima visione a ingresso gratuito, l’unica occasione per chi come noi normalmente andava al massimo alle seconde visioni. Mi è rimasto impresso il film russo “Il quarantunesimo” alla’”Arena del Sole” in fondo a via Indipendenza, un sogno proibito che si realizzava… Poi tornavamo a brindare “con i bicchieri colmi d’acqua”; come si faceva, virtualmente, nel bar del quartiere, seduti in file ordinate davanti al televisore per vedere “Lascia o raddoppia”; in seguito andavo con mio fratello a casa delle gemelle Anna e Giovanna, amiche e nulla di più, per l’imperdibile appuntamento del giovedì sera con la trasmissione, finché bastava andare nei cinema, lo schermo lasciava il posto all’apparecchio televisivo, i personaggi del film ai concorrenti di Mike. “Altri tempi, altri miti” per usare il titolo della 16^ Quadriennale di Roma che nel 2016 ho commentato come “un salto nel futuro”, questo è un salto altrettanto emozionante nel passato.
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Tornano i ricordi dei compagni di scuola, ripenso a Sandro Degli Angeli, divenuto chimico affermato che ha escogitato importanti metodi di conservazione degli alimenti, come la “cupola” azotata del “Parrozzo”, il dolce “dannunziano” citato nelle lettere del Poeta a Fiammetta, su cui ho basato il mio libro-inchiesta “D’Annunzio l’uomo del Vittoriale”; ma non è finita qui, con Sandro ci siamo rivisti molti anni fa a Pescara allorché il produttore del “Parrozzo” ha creato un nuovo insperato contatto tra noi dopo decenni, finché abbiamo preparato insieme uno studio scientifico-economico per l’ipotizzata acquisizione, non a buon fine, di un’industria alimentare allocata alla Gepi. Ma più che questi, mi tornano i ricordi di Sandro mentre realizzava il salto in alto più elevato a piedi uniti pur senza doti atletiche, già mostrava in questo la capacità di ottimizzare i risultati.
Sulle doti atletiche, ammiravo quelle di Concato, che frequentava un’altra classe e si esibiva nell’ora di ginnastica con acrobatiche evoluzioni e scalate alla Tarzan, io mingherlino mi sentivo ancora più timoroso negli esercizi alla corda e alla pertica; né mi appassionavo agli intermezzi di pallavolo che il professore di ginnastica prediligeva, neppure il pallone era mio amico…
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Tante erano le ragazze compagne di scuola, ho già citato Maria Zannotti, per lei scoccò in me una “scintilla” durante una gita scolastica in treno, mi sembra a Ferrara, ma finita lì, anche se all’esame di maturità dopo il mio appello andavo a casa sua per aiutarla a ripassare le materie, l’attrazione era rimasta. Diecine di anni dopo, senza rivederla, il nuovo contatto di cui ho già parlato con lei che era divenuta ricercatrice e docente di materie biologiche all’Università di Bologna. Un medico di Teramo mi parlò di lei che aveva avuto come insegnante all’Università restandone affascinato, non mi ingelosii… ma mi precipitai su Internet per rintracciarla, ne nacque l’articolo di cui ho detto.
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Un’ulteriore immagine minghettiana che mi assale mi riporta alla recita del 3° anno, all’insegna del “dimetilchetone trinitotoluolo”, le astruse formule chimiche messe da noi alla berlina, io fui “immerso” in pigiama rosa nel pentolone come novello esploratore arrostito dai selvaggi, i compagni saltellando mi lasciarono nel proscenio in tutta la mia timidezza ancora più indifesa.
Ora che ho evocato l’ultimo anno, mi torna in mente la gita scolastica del film “Terza liceo” di Luciano Emmer, mi sentivo come lo studente con gli occhiali del film, diligente e introverso, e la scena del professore che lanciava palle di neve a due suoi studenti che si baciavano e veniva tacitato con le parole “professore, non faccia il professore!”, la riferivo ai compagni intraprendenti. Ho ricordato il regista Emmer alla sua scomparsa con un breve, commosso profilo giornalistico.
Sull’esame di maturità, non posso non citare l’”incidente” con un cronista del “Resto del Carlino” il quale chiese a me e ad altri come era andata l’interrogazione, la mia era in storia. Mi accalorai nel riferire la mia risposta di tono patriottico alla domanda dell’esaminatore sulla contraddizione tra la buona amministrazione austriaca a Milano e la ribellione dei cittadini. Il giorno dopo sul quotidiano, con tanto di mio nome e cognome, fu scritto che avevo detto di avere “sbaragliato la commissione sotto il fuoco di fila delle mie risposte”, oggi sarebbe tra le “fake news”, ma non fu innocua; al turno di esame successivo per l’altro gruppo di materie fui apostrofato dagli esaminatori all’incirca con queste parole: “Finalmente possiamo vedere all’opera chi ci ha sbaragliato con il fuoco di fila delle sue risposte”, e relativo gesto del mitra: lascio immaginare il mio stato d’animo. Lo cito perché contemporaneamente, sullo stesso giornale, c’era la risposta di Giancarlo della Giovanpaola, un compagno di scuola di altra sezione, delle cui parole ricordo che erano invece paludate e istituzionali, elogiando lo sforzo della commissione di esplorare la struttura mentale dell’esaminato, e così via: il “politicamente corretto” dinanzi alla mia sfrontata presunzione….
Fu il mio primo “incidente”giornalistico; qualche anno fa ne ho avuto un altro, dalla parte però del giornalista, quando una artista, insieme all’espositore, dopo una mostra in cui aveva accettato di essere da me fotografata davanti alle sue opere - volti dipinti su vecchie porte - pretendeva con insistenza che fossero rimosse le immagini già pubblicate e sostituite con delle foto di repertorio; naturalmente ho rifiutato e non potevo fare altrimenti. E’ venuto spontaneo associare i due episodi.
Altre immagini mi tornano alla mente, la finale dei mondiali di calcio vinta dalla Germania, per cui facevo il tifo, sull’allora grande Ungheria, vista alla Tv in casa della compagna Paola Zerbini a Riccione dove mi ero fermato nel ritorno in Abruzzo a maturità appena conclusa, una gita in bicicletta con il compagno di San Pietro in Casale, Buggini; giravo nei viali di circonvallazione con la mia “Testi”, prima di passare alla Vespa sbuffante, che faticava sulla ripida salita per San Luca.
Ma irrompe una nuova immagine collegata ad un evento successivo di segno ben diverso. Riguarda il pomeriggio in cui, dopo la lezione di ginnastica, con un gruppo di compagni - sempre l’amico del cuore Francesco Pintor e ricordo anche Lello Limarzi, più grande ed “esperto” di noi - andai in Via Valdonica, davanti a una di quelle “case” ancora aperte; io non salii e neppure altri di noi, mi è rimasta impressa quella via oscura dai piccoli portici maleodoranti, da antica suburra. Qualche anno fa ho rivisto in TV via Valdonica in una luce opposta, facciate e portici restaurati nel colore del cotto, la luminosità calda in contrasto con l’oscurità interiore calata su quella via con l’assassinio di Marco Biagi, una tragedia dolorosa che si sostituiva alla maliziosa memoria di allora.
Evocati i portici di via Valdonica non posso non ricordare quelli di via Nazario Sauro, la strada del Minghetti che percorrevo ogni mattina, piccoli anch’essi, e i grandi portici nei quali si sente il respiro dell’anima bolognese, giustamente divenuti “patrimonio dell’umanità” per l’Unesco: dal Pavaglione a via dell’Indipendenza, ai portici delle vie San Vitale e Mazzini, Zamboni e Santo Stefano, fino a quelli della salita verso il Santuario di San Luca, che iniziano in prossimità dello Stadio dove giocava ”il Bologna che tremare il mondo fa”. Quando fu disputata a Roma la partita contro l’Inter nello spareggio per lo scudetto, ero sugli spalti dello Stadio Olimpico con mio fratello: incontrammo sulla gradinata, vicino a noi per un caso fortunato, l’ antico collega di studi bolognesi Romano Ghini, che aveva seguito la propria vocazione frequentando il Centro sperimentale di cinematografia, facemmo il tifo, poi esultammo insieme per la vittoria; voleva fare il regista, successivamente ho visto il suo nome nei titoli di coda di diversi film. .
Così scivoliamo nei ricordi universitari che sono coinvolgenti, ripenso alle lezioni e alle giornate nella Biblioteca del Pavaglione, dell’Istituto Giuridico e della Johns Hopkins University, per le normali consultazioni e poi per la tesi, a Furio Bosello con la sua presenza autorevole, ad Alberto Calda con la sua invadenza di ascendenza carneluttiana, e a tanti altri. Di quegli anni resta nel mio cuore l’immagine di Edda, la fanciulla dalla coda di cavallo conosciuta in tram, un “flirt” dolcissimo e nulla più, ricordo quando al mio compleanno mi fece avere a casa un mazzo di tulipani e il disco “Ciao, ciao, bambina…”. E l’immagine di Stefania, attesa spesso nel suo itinerario in via Massarenti senza mai poterle parlarle, aveva il volto della fanciulla del film “La leggenda del pianista sull’oceano”, svanita nelle dissolvenze della comune timidezza; la copertina del mio romanzo-verità “Rolando e i suoi fratelli. L’America!” riproduce la scena del film con il piroscafo dinanzi alla Statua della Libertà, per me dentro la nave c’è quell’immagine di sogno svanita.
Sono sentimenti di accorata dolcezza, ai quali si aggiungono i ricordi cittadini, con impresse le Due Torri, il Nettuno e Piazza Maggiore, nel pensiero nostalgico per una città mai dimenticata.
Che cosa ha suscitato l’immersione nei ricordi bolognesi? E’ un’ondata di pensieri e immagini che continuerebbe ancora, riportandomi alle lunghe nebbie autunnali fino all’esplodere dell’estate. La primavera non tardava mai ad arrivare - lo dico risuonandomi dentro le parole della bella canzone di Franco Battiato - anche perché era qualcosa di più di una semplice stagione. Era la primavera della vita, ed è merito della presidente dei Minghettiani se ho potuto evocarla in questo empito emotivo e sentimentale: mi ha accolto come il “figliol prodigo”, con il “vitello grasso”, del resto il coronavirus corrisponde alla carestia di allora, con l’allontanamento forzato dagli affetti.
Di qui è nato il bisogno irrefrenabile - che covava da tempo ma è emerso nel giorno del mio compleanno trascorso nella clausura del lungo isolamento - di un contatto diretto con una parte così importante della mia vita che si identifica in un nome: il Minghetti, “l’amico ritrovato”.
Romano Maria Levante, 2^ e 3^ C , Liceo Minghetti, 1952-53 e 1953-54
In Memoria di Germano Dondi
Germano Dondi (1948-2019)
Il 4 luglio 2019 è venuto a mancare Germano Dondi, allievo del Liceo Minghetti dal 1962 al 1967 – Sezione C. I suoi compagni ne piangono la scomparsa e lo ricordano come brillante professionista e amico del Liceo.
Conseguita la maturità classica nel 1967, Germano si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, conseguendo la laurea con lode nel 1971. Assistente di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di Economia e Commercio della stessa Università dal 1972, si specializzò in Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale. Dal 1985 al 1999 insegnò Diritto del Lavoro presso l’Accademia Militare di Modena. Nel 1984 divenne Professore Associato presso la Facoltà di Economia dell’Università di Bologna, Professore Straordinario nel 2001 e Professore Ordinario dal 2004 al 2010. Fu coordinatore del Dottorato in Diritto dell’Economia e delle Relazioni Industriali nonché dell’indirizzo di Diritto del Lavoro dal 2006 al 2010. Autore di alcune monografie e di numerosi articoli, note e sentenze pubbliche sulle più importanti riviste scientifiche in materia di Diritto del Lavoro, era considerato un esperto in materia. Fu avvocato cassazionista, iscritto all’Ordine e all’Albo degli Avvocati di Bologna. All’attività pubblica affiancò l’attività privata, presso lo Studio di via Guidicini.
Il legame di Germano con la classe e con il Liceo Minghetti è sempre stato molto forte. Fu tra i primi ad aderire al gruppo di ex compagni della IIIC, creato dall’amica Leslie Locche, e approvò con entusiasmo l’iniziativa di celebrare i 50 anni dalla Maturità non con un semplice convivio, ma con una vera e propria commemorazione. L’incontro si svolse nell'aula conferenze del Liceo Minghetti, il 19 maggio 2017, alla presenza di 20 ex alumni. In tale occasione fu proiettato un video con i filmati dei tanti incontri del gruppo post-maturità e distribuito un opuscolo, ricco di notizie su tutti i nostri professori del Ginnasio-Liceo: Marastoni, Garuti, Brunello, Bonfiglioli, Patrizi, Evangelisti, Borghi, Gualandi, De Mattia, Mucciarelli, Don Zaccanti. Germano tenne le fila dell’incontro e si occupò della stampa dei cd, ma non volle parlare, per non emozionarsi troppo. L’incontro si concluse con una visita del rinnovato Minghetti, dalla biblioteca al museo, a cura dell’Avv. Lorenza Zamboni, presidente dei Minghettiani e della Prof.ssa Fabia Zanasi. Visto il successo dell’iniziativa, la Prof.ssa Gabriella Marastoni, presente all’incontro, invitò la classe a partecipare ad un evento in memoria del padre, prof. Giuseppe Marastoni, tenutosi il 14 aprile 2018, a Brisighella (RA). Germano, già malato, non potè partecipare all’incontro, ma scrisse un bell’articolo, pubblicato, insieme con gli altri interventi, in un opuscolo a stampa, a cura degli organizzatori.
Tanti sono i ricordi che ci legano a Germano, appassionato cultore di latino e greco, ma mai pesante, amante della musica, colto, dotato di grande memoria e di un’arguzia, affabilità e curiosità che lo facevamo amare.
Vogliamo ricordarlo così.
Andreina Poggi, per la IIIC 1966-67
Il 4 luglio 2019 è venuto a mancare Germano Dondi, allievo del Liceo Minghetti dal 1962 al 1967 – Sezione C. I suoi compagni ne piangono la scomparsa e lo ricordano come brillante professionista e amico del Liceo.
Conseguita la maturità classica nel 1967, Germano si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, conseguendo la laurea con lode nel 1971. Assistente di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di Economia e Commercio della stessa Università dal 1972, si specializzò in Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale. Dal 1985 al 1999 insegnò Diritto del Lavoro presso l’Accademia Militare di Modena. Nel 1984 divenne Professore Associato presso la Facoltà di Economia dell’Università di Bologna, Professore Straordinario nel 2001 e Professore Ordinario dal 2004 al 2010. Fu coordinatore del Dottorato in Diritto dell’Economia e delle Relazioni Industriali nonché dell’indirizzo di Diritto del Lavoro dal 2006 al 2010. Autore di alcune monografie e di numerosi articoli, note e sentenze pubbliche sulle più importanti riviste scientifiche in materia di Diritto del Lavoro, era considerato un esperto in materia. Fu avvocato cassazionista, iscritto all’Ordine e all’Albo degli Avvocati di Bologna. All’attività pubblica affiancò l’attività privata, presso lo Studio di via Guidicini.
Il legame di Germano con la classe e con il Liceo Minghetti è sempre stato molto forte. Fu tra i primi ad aderire al gruppo di ex compagni della IIIC, creato dall’amica Leslie Locche, e approvò con entusiasmo l’iniziativa di celebrare i 50 anni dalla Maturità non con un semplice convivio, ma con una vera e propria commemorazione. L’incontro si svolse nell'aula conferenze del Liceo Minghetti, il 19 maggio 2017, alla presenza di 20 ex alumni. In tale occasione fu proiettato un video con i filmati dei tanti incontri del gruppo post-maturità e distribuito un opuscolo, ricco di notizie su tutti i nostri professori del Ginnasio-Liceo: Marastoni, Garuti, Brunello, Bonfiglioli, Patrizi, Evangelisti, Borghi, Gualandi, De Mattia, Mucciarelli, Don Zaccanti. Germano tenne le fila dell’incontro e si occupò della stampa dei cd, ma non volle parlare, per non emozionarsi troppo. L’incontro si concluse con una visita del rinnovato Minghetti, dalla biblioteca al museo, a cura dell’Avv. Lorenza Zamboni, presidente dei Minghettiani e della Prof.ssa Fabia Zanasi. Visto il successo dell’iniziativa, la Prof.ssa Gabriella Marastoni, presente all’incontro, invitò la classe a partecipare ad un evento in memoria del padre, prof. Giuseppe Marastoni, tenutosi il 14 aprile 2018, a Brisighella (RA). Germano, già malato, non potè partecipare all’incontro, ma scrisse un bell’articolo, pubblicato, insieme con gli altri interventi, in un opuscolo a stampa, a cura degli organizzatori.
Tanti sono i ricordi che ci legano a Germano, appassionato cultore di latino e greco, ma mai pesante, amante della musica, colto, dotato di grande memoria e di un’arguzia, affabilità e curiosità che lo facevamo amare.
Vogliamo ricordarlo così.
Andreina Poggi, per la IIIC 1966-67
Testimonianza di Fulvio De Nigris
Luca nell'acquario.
Frugo nel cassetto dei miei ricordi. Mio figlio Luca frequentava il Minghetti. Era il 1997 ed era il liceo, tra gli altri, del prof. Scagliola che introduceva i ragazzi al cinema e della bidella Elide una vera istituzione. La si vedeva su dalle scale con la sua aria sicura e autoritaria e dai racconti di mio figlio e dei suoi amici era già allora una presenza notevole, un punto di riferimento. Lo scalone, per Luca che portava il busto era una salita impegnativa che non si poteva superare con lo zaino. Per questo il suo amico Domenico (oggi Don Domenico parroco della Chiesa di Villanova di Castenaso) lo aiutava, portandogli lo zaino. Facevano insieme una bella coppia come testimoniato da questo video “Il tempio delle meraviglie.” (https://www.youtube.com/watch?v=7WCSWNQbgTg) uno dei tanti compiti a casa. Quando poi Luca andò in coma dopo una operazione definita di routine, la gara di solidarietà in Austria e purtroppo la sua morte a soli 16 anni, l’affetto che i bolognesi, il Minghetti e i suoi “abitanti” ci hanno testimoniato fu subito forte. Nacque il percorso che portò alla nascita della “Casa dei Risvegli” a lui dedicata, una struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna rivolta a persone con esiti di coma e alle loro famiglie, in convenzione con l’associazione Gli amici di Luca”. Poi il “Premio Luca De Nigris” con la Cineteca di Bologna rivolto ad audiovisivi realizzati dalle scuole e nel 2009, grazie all’associazione Minghettiani, l’aula a lui dedicata (https://www.youtube.com/watch?v=xos0DItkvSE).
Per questo devo ringraziare molto Anna Bassi, Raffaella Santi Casale e il preside Fabio Gambetti. Assieme ad Alessandro Bergonzoni in nostro testimonial e l’amico di Luca Domenico Cambareri che vennero ad inaugurarla.
Ho altre due figlie Clelia Perla e Giovanna ed anche loro sono attualmente “Minghettiane” per scelta. Una scelta avvenuta agli Open Day. Dove si rimane affascinati dalle splendide guide che espongono le virtù del Liceo Minghetti compresa l’aula di Luca sulla quale anch’io, quando ho accompagnato le mie figlie, ho potuto integrare utili informazioni. Un’aula che gli studenti chiamano “Acquario” per quella porta a vetri così grande nella quale ci si immerge e ci si muove quasi fluttuando. È bello. Perché a Luca piaceva molto il mare e con la maschera si perdeva a guardare il fondale.
Fulvio De Nigris
Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma
nella "Casa dei Risvegli Luca De Nigris"
[email protected]
Per questo devo ringraziare molto Anna Bassi, Raffaella Santi Casale e il preside Fabio Gambetti. Assieme ad Alessandro Bergonzoni in nostro testimonial e l’amico di Luca Domenico Cambareri che vennero ad inaugurarla.
Ho altre due figlie Clelia Perla e Giovanna ed anche loro sono attualmente “Minghettiane” per scelta. Una scelta avvenuta agli Open Day. Dove si rimane affascinati dalle splendide guide che espongono le virtù del Liceo Minghetti compresa l’aula di Luca sulla quale anch’io, quando ho accompagnato le mie figlie, ho potuto integrare utili informazioni. Un’aula che gli studenti chiamano “Acquario” per quella porta a vetri così grande nella quale ci si immerge e ci si muove quasi fluttuando. È bello. Perché a Luca piaceva molto il mare e con la maschera si perdeva a guardare il fondale.
Fulvio De Nigris
Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma
nella "Casa dei Risvegli Luca De Nigris"
[email protected]
Testimonianza di Anna Bassi
UN GIORNO, CON IL LETAME DAVANTI AL MINGHETTI
Mio nonno mi raccontava delle sue avventure, in prima linea, durante la Grande Guerra; la mia è una storia più modesta, però più divertente.
Il fatto risale alla primavera (credo, a occhio e croce) del 1971, io ero quasi alla fine della prima liceo e tutte le mattine, per andare al “Minghetti”, arrivavo in stazione poi mi dirigevo verso piazza XX Settembre perché, abbastanza di frequente, incontravo due miei compagni che erano nella terza liceo della mia sezione (la F) e arrivavano a piedi dal ponte di Galliera. Insieme percorrevamo via Indipendenza per poi arrivare a scuola. Capitava anche che ne arrivasse uno solo, in Lambretta, e quello della Lambretta arrivava anche da solo a piedi. Se era in Lambretta mi caricava sul sellino dietro, se era solo facevamo il solito tratto di strada fino a scuola.
Un giorno, un normale giorno di primavera, quello della Lambretta era solo e a piedi, quindi andammo a scuola a piedi parlando, come di solito, del più e del meno. Stavamo arrivando al punto in cui via Parigi confluisce con via Nazario Sauro quando ci distrasse un inusuale suono di fischietti.
Corremmo a vedere, tanto il tratto era breve, e cosa vedemmo…………………………? Sul marciapiede antistante il “Minghetti” era sparsa una grande quantità di letame sopra alla quale c’era un cartello che, più o meno, recitava così:” QUEL CHE IL “MINGHETTI” IN SCIENZA CI DIEDE, OGGI QUI RENDIAMO IN MERDA”. Attorno al letame, i Minghettiani della terza liceo dell’anno prima, che avevano i berretti goliardici di diverse Facoltà, soffiavano a più non posso nei fischietti. Tutt’intorno gli studenti erano perplessi, divertiti, allegri……diversamente seri, quindi (come si direbbe ai giorni odierni)
Sulla porta del Liceo, quella piccola, non la grande, il capo bidello Macchia, con l’immancabile sigaretta tra le dita, guardava il tutto; non ho mai capito se divertito (è possibile), arrabbiato o preoccupato.
Il mio compagno di scuola ed io eravamo sotto il portico, dall’altra parte della strada, a ridere come matti; io lo guardavo e pensavo che mi piaceva vederlo ridere, del resto l’ilarità era diffusa.
Non si è mai saputo chi fossero gli autori di tanta esemplare, eccellente, originale e divertente iniziativa finché, quarant’ anni dopo, il mistero si è in parte rivelato.
E’ successo durate una festa dell’Associazione dei Minghettiani; io stavo parlando con un compagno di Liceo, ricordavo l’evento e, con il ricordo, il rammarico di non averne mai conosciuto gli ideatori.
“ Se vai fuori (sulla porta del Liceo, per intenderci) e chiedi di…….lui ti dirà tutto”.
Sono uscita, ho chiesto di………un simpatico avvocato che ora, purtroppo non c’è più, gli ho chiesto se sapeva del letame al “Minghetti”: mi ha raccontato di come, lui e altri, lo avevano raccolto e messo su un carro agricolo che, nottetempo, aveva attraversato una Bologna deserta ( la sua meraviglia era nel ricordo della Bologna deserta: “neppure un’auto, o un bus…niente, solo strade vuote e silenzio, eppure abbiamo percorso tutta via Rizzoli con questo carro un po’ strano”) e lo avevano scaricato senza fatica davanti al portone del Liceo. Anche altri erano della partita ma credo sia opportuno il silenzio sui nomi.
La storia narrata dall’avvocato aveva sapori quasi, solo quasi beninteso, proustiani e la grandissima Elide che ascoltava ha ricordato anche lei del letame e della sorpresa nel trovarlo, la mattina, quando doveva entrare a scuola per il suo lavoro.
Ho sposato quello della Lambretta.
Mio nonno mi raccontava delle sue avventure, in prima linea, durante la Grande Guerra; la mia è una storia più modesta, però più divertente.
Il fatto risale alla primavera (credo, a occhio e croce) del 1971, io ero quasi alla fine della prima liceo e tutte le mattine, per andare al “Minghetti”, arrivavo in stazione poi mi dirigevo verso piazza XX Settembre perché, abbastanza di frequente, incontravo due miei compagni che erano nella terza liceo della mia sezione (la F) e arrivavano a piedi dal ponte di Galliera. Insieme percorrevamo via Indipendenza per poi arrivare a scuola. Capitava anche che ne arrivasse uno solo, in Lambretta, e quello della Lambretta arrivava anche da solo a piedi. Se era in Lambretta mi caricava sul sellino dietro, se era solo facevamo il solito tratto di strada fino a scuola.
Un giorno, un normale giorno di primavera, quello della Lambretta era solo e a piedi, quindi andammo a scuola a piedi parlando, come di solito, del più e del meno. Stavamo arrivando al punto in cui via Parigi confluisce con via Nazario Sauro quando ci distrasse un inusuale suono di fischietti.
Corremmo a vedere, tanto il tratto era breve, e cosa vedemmo…………………………? Sul marciapiede antistante il “Minghetti” era sparsa una grande quantità di letame sopra alla quale c’era un cartello che, più o meno, recitava così:” QUEL CHE IL “MINGHETTI” IN SCIENZA CI DIEDE, OGGI QUI RENDIAMO IN MERDA”. Attorno al letame, i Minghettiani della terza liceo dell’anno prima, che avevano i berretti goliardici di diverse Facoltà, soffiavano a più non posso nei fischietti. Tutt’intorno gli studenti erano perplessi, divertiti, allegri……diversamente seri, quindi (come si direbbe ai giorni odierni)
Sulla porta del Liceo, quella piccola, non la grande, il capo bidello Macchia, con l’immancabile sigaretta tra le dita, guardava il tutto; non ho mai capito se divertito (è possibile), arrabbiato o preoccupato.
Il mio compagno di scuola ed io eravamo sotto il portico, dall’altra parte della strada, a ridere come matti; io lo guardavo e pensavo che mi piaceva vederlo ridere, del resto l’ilarità era diffusa.
Non si è mai saputo chi fossero gli autori di tanta esemplare, eccellente, originale e divertente iniziativa finché, quarant’ anni dopo, il mistero si è in parte rivelato.
E’ successo durate una festa dell’Associazione dei Minghettiani; io stavo parlando con un compagno di Liceo, ricordavo l’evento e, con il ricordo, il rammarico di non averne mai conosciuto gli ideatori.
“ Se vai fuori (sulla porta del Liceo, per intenderci) e chiedi di…….lui ti dirà tutto”.
Sono uscita, ho chiesto di………un simpatico avvocato che ora, purtroppo non c’è più, gli ho chiesto se sapeva del letame al “Minghetti”: mi ha raccontato di come, lui e altri, lo avevano raccolto e messo su un carro agricolo che, nottetempo, aveva attraversato una Bologna deserta ( la sua meraviglia era nel ricordo della Bologna deserta: “neppure un’auto, o un bus…niente, solo strade vuote e silenzio, eppure abbiamo percorso tutta via Rizzoli con questo carro un po’ strano”) e lo avevano scaricato senza fatica davanti al portone del Liceo. Anche altri erano della partita ma credo sia opportuno il silenzio sui nomi.
La storia narrata dall’avvocato aveva sapori quasi, solo quasi beninteso, proustiani e la grandissima Elide che ascoltava ha ricordato anche lei del letame e della sorpresa nel trovarlo, la mattina, quando doveva entrare a scuola per il suo lavoro.
Ho sposato quello della Lambretta.
Testimonianza di Giuliano Panza
I ricordi indelebili della mia esperienza liceale al Minghetti sono principalmente legati alla Professoressa Renata Bonfiglioli ed al Professor Alfredo Ghiselli. Sento però il bisogno di esprimere la mia riconoscenza anche a tutti gli altri docenti della sezione C, che hanno contribuito alla mia formazione, nonché al molto stimolante gruppo classe.
Renata ha svegliato in me, con costanti e garbati incoraggiamenti, la latente passione per la Fisica e per l’uso ancillare della Matematica, che permette di raggiungere risultati a priori inimmaginabili se ci si limita alla Fisica. Un esempio per tutti: lo sviluppo del calcolo tensoriale realizzato da Gregorio Ricci Curbastro, Accademico Linceo, romagnolo come me. L’opera di Ricci Curbastro non fu compresa pienamente dall'ambiente matematico italiano all'epoca in cui fu prodotta, ma fu riconosciuta soprattutto grazie all'applicazione dei suoi metodi da parte di Einstein che così riuscì a formulare in modo rigoroso la teoria fisica della Relatività generale. Renata diede a mia moglie Rita ed a me la gioia di essere testimone alle nostre nozze.
Alfredo, con il suo indiscutibile carisma unito ad un impareggiabile autoironia ed humor – famosissima la sua: “silenzio polare, chi parla è un pinguino” – mi ha fatto apprezzare Orazio e Catullo, al punto che ancora oggi ricordo a memoria parti di alcune loro composizioni che saltuariamente rileggo con rinnovato piacere: quanto attuali sono le parole della satira del seccatore (Ibam forte Via Sacra …….) da un lato e la poesia del “Phaselus ille, ….” dall’altra.
Questi sono stati i compagni di viaggio di riferimento verso la laurea in Fisica, conseguita all’Alma Mater nel 1967. Posso testimoniare la validità del Liceo Classico anche per la formazione verso studi scientifici. Gli stessi compagni mi hanno idealmente accompagnato nella successiva attività di docente e ricercatore all’Università.
Già Ordinario di Sismologia e docente di Geofisica all’Università di Trieste, responsabile di gruppo di ricerca SAND all’Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics, adesso sono Professore Onorario Emerito all’Istituto di Geofisica della China Earthquake Administration di Pechino e presso l’Università di Architettura ed Ingegneria di Pechino.
Oltre che membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, sono membro dell’Academia Europaea, dell’Academy of Sciences for the developing world (TWAS), della Russian Academy of Sciences di Mosca e dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
La Scienza internazionale riconosce alla mia attività scientifica multidisciplinarità di avanguardia: analisi integrata della struttura e dinamica del sistema litosfera-astenosfera; modellazione realistica della propagazione delle onde sismiche; previsione dei terremoti a medio termine spazio-temporale e definizione affidabile della pericolosità sismica. A tal proposito mi piace menzionare il libro “Difendersi dal terremoto si può - L’approccio neodeterministico” (https://www.epc.it/Prodotto/Editoria/Libri/Difendersi-dal-terremoto-si-puo'/3342)
Ho ricevuto la medaglia Beno Gutenberg dalla European Union of Geosciences per gli eccezionali contributi al progresso della Sismologia internazionale, la Laurea honoris causa in Physics dalla Università di Bucharest, la medaglia d’onore dell’Iniziativa Centro Europea per i risultati conseguiti dall’Earth Sciences Committee da lui presieduto, la Commemorative Medal della Vietnam Academy of Science and Technology, la NRIAG Medal of Honor, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, AGU International Award 2018.
Nel giugno 2010 SCIENCEWATCH.COM ha scritto quanto segue.
GIULIANO PANZA ON EARTHQUAKE PREDICTION AND RISK. According to our Special Topics analysis on earthquake research over the past decade, the work of Dr. Giuliano F. Panza ranks at number 4 worldwide.
Altre informazioni sono reperibili ai siti
Siti: https://www.ae-info.org/ae/Member/Panza_Giuliano
http://www.accademiaxl.it/quarantascienza/
In particolare il sito dell’Accademia dei XL contiene filmati di conferenze di possibile interesse per i Docenti di Scienze. QuarantaScienza – Scienziati on-line è infatti un punto di riferimento permanente on-line per la scoperta e l’approfondimento di tematiche scientifiche di attualità da parte di studenti ed insegnanti e di un pubblico non specialistico interessato alla scienza.
Ed ora un sorriso, l’humor e l’autoironia assorbiti da Renata Bonfiglioli ed Alfredo Ghiselli:
Renata ha svegliato in me, con costanti e garbati incoraggiamenti, la latente passione per la Fisica e per l’uso ancillare della Matematica, che permette di raggiungere risultati a priori inimmaginabili se ci si limita alla Fisica. Un esempio per tutti: lo sviluppo del calcolo tensoriale realizzato da Gregorio Ricci Curbastro, Accademico Linceo, romagnolo come me. L’opera di Ricci Curbastro non fu compresa pienamente dall'ambiente matematico italiano all'epoca in cui fu prodotta, ma fu riconosciuta soprattutto grazie all'applicazione dei suoi metodi da parte di Einstein che così riuscì a formulare in modo rigoroso la teoria fisica della Relatività generale. Renata diede a mia moglie Rita ed a me la gioia di essere testimone alle nostre nozze.
Alfredo, con il suo indiscutibile carisma unito ad un impareggiabile autoironia ed humor – famosissima la sua: “silenzio polare, chi parla è un pinguino” – mi ha fatto apprezzare Orazio e Catullo, al punto che ancora oggi ricordo a memoria parti di alcune loro composizioni che saltuariamente rileggo con rinnovato piacere: quanto attuali sono le parole della satira del seccatore (Ibam forte Via Sacra …….) da un lato e la poesia del “Phaselus ille, ….” dall’altra.
Questi sono stati i compagni di viaggio di riferimento verso la laurea in Fisica, conseguita all’Alma Mater nel 1967. Posso testimoniare la validità del Liceo Classico anche per la formazione verso studi scientifici. Gli stessi compagni mi hanno idealmente accompagnato nella successiva attività di docente e ricercatore all’Università.
Già Ordinario di Sismologia e docente di Geofisica all’Università di Trieste, responsabile di gruppo di ricerca SAND all’Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics, adesso sono Professore Onorario Emerito all’Istituto di Geofisica della China Earthquake Administration di Pechino e presso l’Università di Architettura ed Ingegneria di Pechino.
Oltre che membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, sono membro dell’Academia Europaea, dell’Academy of Sciences for the developing world (TWAS), della Russian Academy of Sciences di Mosca e dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
La Scienza internazionale riconosce alla mia attività scientifica multidisciplinarità di avanguardia: analisi integrata della struttura e dinamica del sistema litosfera-astenosfera; modellazione realistica della propagazione delle onde sismiche; previsione dei terremoti a medio termine spazio-temporale e definizione affidabile della pericolosità sismica. A tal proposito mi piace menzionare il libro “Difendersi dal terremoto si può - L’approccio neodeterministico” (https://www.epc.it/Prodotto/Editoria/Libri/Difendersi-dal-terremoto-si-puo'/3342)
Ho ricevuto la medaglia Beno Gutenberg dalla European Union of Geosciences per gli eccezionali contributi al progresso della Sismologia internazionale, la Laurea honoris causa in Physics dalla Università di Bucharest, la medaglia d’onore dell’Iniziativa Centro Europea per i risultati conseguiti dall’Earth Sciences Committee da lui presieduto, la Commemorative Medal della Vietnam Academy of Science and Technology, la NRIAG Medal of Honor, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, AGU International Award 2018.
Nel giugno 2010 SCIENCEWATCH.COM ha scritto quanto segue.
GIULIANO PANZA ON EARTHQUAKE PREDICTION AND RISK. According to our Special Topics analysis on earthquake research over the past decade, the work of Dr. Giuliano F. Panza ranks at number 4 worldwide.
Altre informazioni sono reperibili ai siti
Siti: https://www.ae-info.org/ae/Member/Panza_Giuliano
http://www.accademiaxl.it/quarantascienza/
In particolare il sito dell’Accademia dei XL contiene filmati di conferenze di possibile interesse per i Docenti di Scienze. QuarantaScienza – Scienziati on-line è infatti un punto di riferimento permanente on-line per la scoperta e l’approfondimento di tematiche scientifiche di attualità da parte di studenti ed insegnanti e di un pubblico non specialistico interessato alla scienza.
Ed ora un sorriso, l’humor e l’autoironia assorbiti da Renata Bonfiglioli ed Alfredo Ghiselli:
Testimonianza di Giulio Tinarelli
Testimonianza del dott. Giulio Tinarelli degli anni trascorsi al Liceo "Minghetti", tratta dal libro: G. Tinarelli, Dal cortile al castello (Storia di un medico), 2017.
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Ricordo del Minghettiano Dario Sermasi
Εh sì, sono passati 50 anni dal 1967, quando, dopo il ginnasio, venni promosso al liceo, in sez. A.
Ed ecco alcuni ricordi in ordine di tempo:
1965-1967; due anni di ginnasio:
ero nella sez. G con professoresse giovani e molto contente di ricevere domande inerenti alle materie ed ero tanto contento di porre domande.
1967-1970; tre anni di liceo:
poi passai alla sez. A, non ricordo come mai. Nella mia classe gli altri venivano dalla sez. A; mentre ero tanto interessato ad ampliare le materie, chi veniva dalla A, aveva avuto il prof. Zito e sapevano tanto ma, con l'impegno di apprendimento e studio necessari, erano tanto provati.
Ed anche dopo 50 anni mi ricordo di (in ordine alfabetico per cognome):
prof. Bottioni (chimica)
prof. Curione (latino e greco)
prof.ssa Di Maio (matematica)
prof.ssa Maria Goretti (storia e filosofia)
non ricordo il prof. o prof.ssa di italiano
In particolare con le materie citate:
- prof. Bottioni (chimica); mia grande passione per la chimica: la studiavo bene e, nell'aula all'ultimo piano, durante alcune lezioni il prof. Bottioni mi dette la parola;
- prof. Curione (latino e greco); come mi piacevano il latino ed il greco! A seguire racconto del prof. Curione;
- prof.ssa Di Maio (matematica); e, sì, anche per la matematica avevo tanta passione;
- prof.ssa Maria Goretti (storia e filosofia); qui cadevo in basso che più basso non si poteva: la filosofia era come un elefante che mi veniva sopra. Studiavo, studiavo poi del filosofo nascita e morte, titolo degli scritti e pochissimo di più; la prof.ssa Maria Goretti mi dava 7, al max. 7 e mezzo, così, con gli 8 e mezzo di altre materie, arrivavo ad una buona media. Ricordo solo il "mito della caverna" di Platone (ok, ok, per ricordare l'autore l'ho cercato in Google), dove però si partiva dal greco; sono quasi certo che ricordo di avere tradotto il testo ed ero andato bene, ma l'interrogazione... calo un velo pietoso!
A proposito dei voti del prof. Curione ecco quanto scrissi nel sito dei Minghettiani circa 10 anni fa:
"Era martedì ed il prof. Curione mi interrogò in greco: tutto bene, un 8; poi fece lezione. Il giorno seguente, mercoledì mi reinterrogo: avevo studiato bene, mi dette 9, 9 mi dette!
Caro ed amato prof. Curione, mi ha insegnato a studiare bene, con profonda comprensione e a ben comprendere le sfumature delle diversità, in particolare nel greco antico, che era una delle mie materie preferite, l'altra era Matematica...... p.s.: come ricordo che era martedì e mercoledì? Semplice: era martedì grasso e mercoledì delle ceneri"
Nel 1970 nostra maturità: scritto italiano e greco, orale latino e... materia a scelta; scelsi matematica e la prof.ssa Di Maio ne fu tanto contenta. La mia compagna Linda Sciolè scelse filosofia!
Ho dimenticato un particolare (fra le foto Anni 1950 -1970, anno 67-68 | A), mio primo anno di liceo: sono in alto, il terzo da dx. Spesso i ragazzi venivano inviati al liceo con camicia, cravatta, gilet se era freddo, pantaloni lunghi e calzettoni lunghi (sì, anche in primavera), e scarpe eleganti. Meglio se cravatta nera, la più di rappresentanza; il Minghetti mi scelse come capoclasse: dovevo avvisare alla classe di alzarsi, aprire la porta al prof.- prof.ssa; si spiega come mai dopo la maturità non ci siamo mai più incontrati!
All'università rimarrà per me indimenticabile:
primo anno accademico, prima lezione di analisi matematica: il prof. Cimmino iniziò così: " chi proviene da liceo scientifico, si ricordi che l'analisi matematica è materia diversa dalla matematica; chi proviene dalle magistrali, ...; chi proviene da istituto tecnico industriale, ... "; le citò tutte, saltando il liceo classico. Ero disperato: "e adesso come faccio, dove vado?". Solo per ultimo, dopo brevissima pausa, disse: "...Chi proviene dal liceo classico,... sa già studiare", poi iniziò la lezione. Capii solo allora l'amplissimo e ricchissimo significato dell'avere studiato al classico e solo allora cominciai a capire l'arricchimento ricevuto dai professori del Minghetti. Fu il mio primo 30 e lode; al terzo anno scelsi il ramo elettronica, tanto vario e nuovo come per me era stato il greco antico.; si ripetè la mia curiosità per le materie nuove, come al Minghetti, e meglio compresi la formazione ceh vi avevo ricevuta.
1984- in Tanzania ho trascorso 6 mesi per seguire il lavoro.
In Tanzania la lingua è il kiswahili, per me enormemente più semplice dell'inglese: solo l'alfabeto è uguale all'inglese (ma ha forme simili al greco!); ha le concordanze aggettivo-sostantivo; una bellissima caratteristica fra le tante: il soggetto precede sempre l'aggettivo (jambo moja : cosa una; mambo mawili : cose due) .
2011- corso di greco antico e aramaico:
primi mesi di pensione. Per "svagarmi", ho partecipato ad un corso di greco antico e aramaico: sono completamente diversi (l'aramaico è scritto da dx a sx, la calligrafia (καλλιγραφή) è completamente diversa e le vocali non sono mai scritte), ma chi ha studiato ed imparato greco antico studia ed impara anche l'aramaico.
Ecco, è tutto; minghettiani si rimane sempre.
Grazie dell'avermi seguito,
Dario Sermasi
Ed ecco alcuni ricordi in ordine di tempo:
1965-1967; due anni di ginnasio:
ero nella sez. G con professoresse giovani e molto contente di ricevere domande inerenti alle materie ed ero tanto contento di porre domande.
1967-1970; tre anni di liceo:
poi passai alla sez. A, non ricordo come mai. Nella mia classe gli altri venivano dalla sez. A; mentre ero tanto interessato ad ampliare le materie, chi veniva dalla A, aveva avuto il prof. Zito e sapevano tanto ma, con l'impegno di apprendimento e studio necessari, erano tanto provati.
Ed anche dopo 50 anni mi ricordo di (in ordine alfabetico per cognome):
prof. Bottioni (chimica)
prof. Curione (latino e greco)
prof.ssa Di Maio (matematica)
prof.ssa Maria Goretti (storia e filosofia)
non ricordo il prof. o prof.ssa di italiano
In particolare con le materie citate:
- prof. Bottioni (chimica); mia grande passione per la chimica: la studiavo bene e, nell'aula all'ultimo piano, durante alcune lezioni il prof. Bottioni mi dette la parola;
- prof. Curione (latino e greco); come mi piacevano il latino ed il greco! A seguire racconto del prof. Curione;
- prof.ssa Di Maio (matematica); e, sì, anche per la matematica avevo tanta passione;
- prof.ssa Maria Goretti (storia e filosofia); qui cadevo in basso che più basso non si poteva: la filosofia era come un elefante che mi veniva sopra. Studiavo, studiavo poi del filosofo nascita e morte, titolo degli scritti e pochissimo di più; la prof.ssa Maria Goretti mi dava 7, al max. 7 e mezzo, così, con gli 8 e mezzo di altre materie, arrivavo ad una buona media. Ricordo solo il "mito della caverna" di Platone (ok, ok, per ricordare l'autore l'ho cercato in Google), dove però si partiva dal greco; sono quasi certo che ricordo di avere tradotto il testo ed ero andato bene, ma l'interrogazione... calo un velo pietoso!
A proposito dei voti del prof. Curione ecco quanto scrissi nel sito dei Minghettiani circa 10 anni fa:
"Era martedì ed il prof. Curione mi interrogò in greco: tutto bene, un 8; poi fece lezione. Il giorno seguente, mercoledì mi reinterrogo: avevo studiato bene, mi dette 9, 9 mi dette!
Caro ed amato prof. Curione, mi ha insegnato a studiare bene, con profonda comprensione e a ben comprendere le sfumature delle diversità, in particolare nel greco antico, che era una delle mie materie preferite, l'altra era Matematica...... p.s.: come ricordo che era martedì e mercoledì? Semplice: era martedì grasso e mercoledì delle ceneri"
Nel 1970 nostra maturità: scritto italiano e greco, orale latino e... materia a scelta; scelsi matematica e la prof.ssa Di Maio ne fu tanto contenta. La mia compagna Linda Sciolè scelse filosofia!
Ho dimenticato un particolare (fra le foto Anni 1950 -1970, anno 67-68 | A), mio primo anno di liceo: sono in alto, il terzo da dx. Spesso i ragazzi venivano inviati al liceo con camicia, cravatta, gilet se era freddo, pantaloni lunghi e calzettoni lunghi (sì, anche in primavera), e scarpe eleganti. Meglio se cravatta nera, la più di rappresentanza; il Minghetti mi scelse come capoclasse: dovevo avvisare alla classe di alzarsi, aprire la porta al prof.- prof.ssa; si spiega come mai dopo la maturità non ci siamo mai più incontrati!
All'università rimarrà per me indimenticabile:
primo anno accademico, prima lezione di analisi matematica: il prof. Cimmino iniziò così: " chi proviene da liceo scientifico, si ricordi che l'analisi matematica è materia diversa dalla matematica; chi proviene dalle magistrali, ...; chi proviene da istituto tecnico industriale, ... "; le citò tutte, saltando il liceo classico. Ero disperato: "e adesso come faccio, dove vado?". Solo per ultimo, dopo brevissima pausa, disse: "...Chi proviene dal liceo classico,... sa già studiare", poi iniziò la lezione. Capii solo allora l'amplissimo e ricchissimo significato dell'avere studiato al classico e solo allora cominciai a capire l'arricchimento ricevuto dai professori del Minghetti. Fu il mio primo 30 e lode; al terzo anno scelsi il ramo elettronica, tanto vario e nuovo come per me era stato il greco antico.; si ripetè la mia curiosità per le materie nuove, come al Minghetti, e meglio compresi la formazione ceh vi avevo ricevuta.
1984- in Tanzania ho trascorso 6 mesi per seguire il lavoro.
In Tanzania la lingua è il kiswahili, per me enormemente più semplice dell'inglese: solo l'alfabeto è uguale all'inglese (ma ha forme simili al greco!); ha le concordanze aggettivo-sostantivo; una bellissima caratteristica fra le tante: il soggetto precede sempre l'aggettivo (jambo moja : cosa una; mambo mawili : cose due) .
2011- corso di greco antico e aramaico:
primi mesi di pensione. Per "svagarmi", ho partecipato ad un corso di greco antico e aramaico: sono completamente diversi (l'aramaico è scritto da dx a sx, la calligrafia (καλλιγραφή) è completamente diversa e le vocali non sono mai scritte), ma chi ha studiato ed imparato greco antico studia ed impara anche l'aramaico.
Ecco, è tutto; minghettiani si rimane sempre.
Grazie dell'avermi seguito,
Dario Sermasi
Ricordo del Preside Giulio Fabbri
Dopo una lunga vita dedicata alla famiglia e alla scuola, prima come insegnante, poi come Dirigente scolastico, è mancato in questi giorni il prof. Giulio Fabbri, per 12 anni (dal 1978 al 1990) Preside del Liceo Minghetti.
Benvoluto, stimato, si è distinto per la serietà e l’assiduità dell’impegno con cui ha guidato l’Istituto, avendo sempre come obiettivo il bene dei docenti e degli studenti.
Deciso, severo nel modo giusto, ha affrontato con autorevolezza le situazioni, a volte difficili, presentatesi negli anni della sua Presidenza.
Lo ricorderanno sempre con tanta riconoscenza tutti coloro che hanno avuto il privilegio di averlo conosciuto.
Benvoluto, stimato, si è distinto per la serietà e l’assiduità dell’impegno con cui ha guidato l’Istituto, avendo sempre come obiettivo il bene dei docenti e degli studenti.
Deciso, severo nel modo giusto, ha affrontato con autorevolezza le situazioni, a volte difficili, presentatesi negli anni della sua Presidenza.
Lo ricorderanno sempre con tanta riconoscenza tutti coloro che hanno avuto il privilegio di averlo conosciuto.
Professoressa Ersilia Zanaboni Mandini
Ricordo di una allieva, Suor Emanuela Ghini
Breve ricordo di tre anni al Liceo Minghetti
Ho frequentato il liceo Mighetti dal 1951 al 1953, nella sezione A. E' molto riduttivo sintetizzare in poche righe il magistero serio, appassionato e anche severo, ma svolto sempre con grande umanità, dei docenti delle nove materie di cui si componeva allora il corso liceale.
Virgilio Minzolini ci insegnava italiano. Severo nei temi (voto massimo 7, rari gli 8, voto medio il 6), ci comunicava una grande passione per la letteratura, in particolare per Dante. Alle nostre proteste per i troppi versi che dovevamo imparare a memoria ci avvertiva che dai 20 anni la memoria inizia a diminuire e da adulti saremmo stati lieti di conoscere testi di Dante. Ogni volta che mi ricordo dei versi di lui penso con gratitudine a quest'uomo serio, impegnato e amabile.
Luisa Pilati Carnevali ci faceva studiare matematica e fisica sui testi del liceo scientifico. La difficoltà di materie a me poco congeniali, a eccezione della trigonometria, era compensata da una sorta di maternità sobria ma profonda, che capiva i giovani e li accoglieva con amore. Luisa Carnevali trasmetteva valori esistenziali che andavano oltre le sue materie. Ci sentivamo ospitati da lei e compresi da una sorta di forte e dolce tenerezza materna. Senza figli, forse questa docente di materie solo apparentemente aride ci donava un amore vigoroso e costruttivo, che non abbiamo dimenticato.
Giambattista Cavallazzi ci insegnava scienze. Benevolo, paterno, mai troppo severo, sempre con la sua cartella, composto ma pronto al sorriso, incarnava il vero tipo del professore, esigente ma con moderazione, rispettoso della nostra esuberanza e delle nostre fragilità di adolescenti. Un uomo buono, che rendeva molto interessanti le scienze e amabile in particolare la fisica.
Maria Goretti, docente di storia e filosofia, fu l'unica insegnante con cui ebbi difficoltà. Piccola di statura e dal fisico un poco sgraziato, pareva eccessivamente consapevole del suo ruolo di docente, che esercitava in modo rigido, scolastico, per nulla creativo. Arrivava a interrogarci tre volte di seguito "per vedere se avevamo studiato", atteggiamento che feriva e umiliava le sensibilità meno robuste. Intuivo che il mondo della filosofia era immenso, ma richiedeva un approccio diverso, così iniziai a disertare le lezioni di Maria Goretti, adducendo il facile pretesto della salute delicata. La mia gioia uscendo dal Minghetti nell'ora esecrata per andare a casa o passeggiare per Bologna era immensa. I miei genitori ovviamente si preoccuparono, mio padre si rivolse al preside, Paolo Lorenzetti, persona di grandissima umanità, tanto provato da una vita non facile. Egli mi fece chiamare. Con la schiettezza della sedicenne, conservata in seguito, dissi testualmente:" La Goretti è una vecchia zitella e non mi può vedere perché sono alta. Ma io non posso accorciarmi". Paolo Lorenzetti mi esortò alla pazienza, ma mi disse anche che avrebbe fatto in modo che io frequentassi le lezioni di storia e filosofia. Dovette parlare alla professoressa, si convenne che non mi avrebbe mai interrogato, che io potevo non studiare filosofia e storia, avrei dato i due esami ottobre. Furono, in tanti anni di scuola, le due sole materie in cui fui rimandata, poi promossa con 7. Quando, alcun anni dopo, mi trovai a insegnare storia e filosofia in licei e magistrali, raccontavo ai miei ragazzi come vi ero stata iniziata, annunciando che avrei agito all'opposto della modalità che avevo subito. L'entusiasmo dei giovani per la filosofia era enorme. Ero da poco entrata in monastero quando seppi che la classe che avevo portato alla maturità aveva avuto otto di media in filosofia, alcuni ragazzi 9, una 10. La commissione chiedeva chi fosse l'insegnante che aveva preparato la classe...Avrei avuto dei rimorsi per il mio rifiuto adolescenziale di Maria Goretti, specialmente quando lessi un suo libro di poesie d'amore in cui sognava di essere amata. Era una donna di mezza età sofferente, inappagata, io una ragazzina troppo immatura per capirla. Quando seppe che ero divenuta carmelitana scrisse a mia madre un biglietto commovente.
Nell'ambito della filosofia non posso ignorare un supplente che in terza liceo venne alcuni giorni al posto di Maria Goretti. Nicola Matteuccii, in seguito politologo, cofondatore de Il Mulino, teorico del costituzionalismo liberale, doveva essere alla sua primissima esperienza scolastica. Era talmente giovane - doveva avere 27 anni - , bello, roseo che fu subito soprannominato "il bambinello". Bravissimo, ci faceva lezioni splendide, a cui non eravamo abituati. Mi interrogò in filosofia e mi diede il primo otto dei miei tre anni...gorettiani, augurandomi, a me totalmente lontana dal prevederlo, di studiare all'Università filosofia.
Guidone Romangoli era docente di storia dell'arte. Le sue lezioni erano affascinanti. A volte portava in classe l'opera di un pittore, la esponeva alla vista di tutti, ci chiedeva di guardarla a lungo, e scrivere le nostre impressioni. Alcuni autoritratti ci educavano a intuire l'enigma dei volti.
L'insegnante di religione era un monsignore anziano, Carlo Fortini, di rara pazienza, parroco della Cattedrale: abitualmente faceva lezione a due di noi, a turno sistemati nei primi banchi col preciso dovere dell'ascolto. Gli altri erano liberi di dedicarsi ad altro. Di solito facevamo la battaglia navale, i più seri studiavano. Fui invitata a uscire dalla classe una sola volta, e fu dall'angelico mons. Fortini, che mi consigliò di fare una corsa in corridoio...Evidentemente non ascoltavo lui ma neppure facevo la battaglia navale...
Ho lasciato per ultimo il nostro docente più simpatico e più amato, Guido Barberis.
Uomo del sud, aveva tutto il calore della sua terra e la passione per il mondo classico (insegnava latino e greco) che ci comunicava in ogni lezione. Mai di routine, sempre pervasa da un calore straordinario, che coinvolgeva tutti. Sui trentacinque anni, vivacissimo, passeggiava tra le file di banchi declamando a memoria l'iliade in greco, ne ricordo ancora alcuni versi. Nelle interrogazioni spaziava ovunque; quando qualcuno nelle interrogazioni obiettava che il testo non parlava del tema richiesto, rispondeva con una seria allegria conquistatrice: "Cultura generale, cultura generale". Allargava i nostri orizzonti a spazi che ci faceva intuire infiniti. Era provocatorio e anche burlone. Faceva emergere dalla tasca l'Avanti, in un ambiente di ragazzi borghesi dalle famiglie presumibilmente di destra. Gemeva per il clima emiliano, rimpiangendo il sole della sua Calabria, in cui ritornava appena poteva. Arrivò a inventarsi una vacanza matrimoniale per fare una decina di giorni al sud. Tornò ovviamente single, sposò pochi anni dopo una nostra compagna di terza, una florida fanciulla bolognese, Fernanda Bonaiuti.
E' tutto, ed è nulla. Impossibile comunicare i valori umani che i nostri professori, tutti, ci trasmettevano. Non ricordo che all'epoca ce ne rendessimo conto. Il liceo classico era molto pesante, al nostro esame di maturità fummo gli ultimi a portare come programma, oltre a quello di terza, i "riferimenti" ai due anni precedenti che, essendo espressi in modo assai vago, comprendevano di fatto il programma dei tre anni.
Non credo che esprimessimo anche agli educatori della nostra adolescenza segni particolari di gratitudine. Con l'irruenza dell' età correvamo avanti, dimentichi del passato.
La vita ci ha poi educato alla vera memoria dei doni ricevuti, tra di essi i tre anni al liceo classico Minghetti. Ogni volta che un nostro compagno si è fatto vivo con me (in terza eravamo una ventina di maschi e sette ragazze) ha "commemorato" con gioia i nostri maestri. Ricordo fra tutti Giorgio Ghezzi, che, già gravemente malato, rammentava con dolcezza il caro Minghetti. Tutti i miei insegnanti poi, quando appresero casualmente il mio ingresso nella vita monastica, ne furono stupiti e commossi. Così i compagni, che le diverse facoltà universitarie forzatamente separarono, ma non divisero. Di noi sette ex fanciulle, le quattro rimaste conservano un rapporto indistruttibile.
suor Emanuela Ghini
carmelitana scalza
monastero "S. Teresa", Savona,
marzo 2017
Ho frequentato il liceo Mighetti dal 1951 al 1953, nella sezione A. E' molto riduttivo sintetizzare in poche righe il magistero serio, appassionato e anche severo, ma svolto sempre con grande umanità, dei docenti delle nove materie di cui si componeva allora il corso liceale.
Virgilio Minzolini ci insegnava italiano. Severo nei temi (voto massimo 7, rari gli 8, voto medio il 6), ci comunicava una grande passione per la letteratura, in particolare per Dante. Alle nostre proteste per i troppi versi che dovevamo imparare a memoria ci avvertiva che dai 20 anni la memoria inizia a diminuire e da adulti saremmo stati lieti di conoscere testi di Dante. Ogni volta che mi ricordo dei versi di lui penso con gratitudine a quest'uomo serio, impegnato e amabile.
Luisa Pilati Carnevali ci faceva studiare matematica e fisica sui testi del liceo scientifico. La difficoltà di materie a me poco congeniali, a eccezione della trigonometria, era compensata da una sorta di maternità sobria ma profonda, che capiva i giovani e li accoglieva con amore. Luisa Carnevali trasmetteva valori esistenziali che andavano oltre le sue materie. Ci sentivamo ospitati da lei e compresi da una sorta di forte e dolce tenerezza materna. Senza figli, forse questa docente di materie solo apparentemente aride ci donava un amore vigoroso e costruttivo, che non abbiamo dimenticato.
Giambattista Cavallazzi ci insegnava scienze. Benevolo, paterno, mai troppo severo, sempre con la sua cartella, composto ma pronto al sorriso, incarnava il vero tipo del professore, esigente ma con moderazione, rispettoso della nostra esuberanza e delle nostre fragilità di adolescenti. Un uomo buono, che rendeva molto interessanti le scienze e amabile in particolare la fisica.
Maria Goretti, docente di storia e filosofia, fu l'unica insegnante con cui ebbi difficoltà. Piccola di statura e dal fisico un poco sgraziato, pareva eccessivamente consapevole del suo ruolo di docente, che esercitava in modo rigido, scolastico, per nulla creativo. Arrivava a interrogarci tre volte di seguito "per vedere se avevamo studiato", atteggiamento che feriva e umiliava le sensibilità meno robuste. Intuivo che il mondo della filosofia era immenso, ma richiedeva un approccio diverso, così iniziai a disertare le lezioni di Maria Goretti, adducendo il facile pretesto della salute delicata. La mia gioia uscendo dal Minghetti nell'ora esecrata per andare a casa o passeggiare per Bologna era immensa. I miei genitori ovviamente si preoccuparono, mio padre si rivolse al preside, Paolo Lorenzetti, persona di grandissima umanità, tanto provato da una vita non facile. Egli mi fece chiamare. Con la schiettezza della sedicenne, conservata in seguito, dissi testualmente:" La Goretti è una vecchia zitella e non mi può vedere perché sono alta. Ma io non posso accorciarmi". Paolo Lorenzetti mi esortò alla pazienza, ma mi disse anche che avrebbe fatto in modo che io frequentassi le lezioni di storia e filosofia. Dovette parlare alla professoressa, si convenne che non mi avrebbe mai interrogato, che io potevo non studiare filosofia e storia, avrei dato i due esami ottobre. Furono, in tanti anni di scuola, le due sole materie in cui fui rimandata, poi promossa con 7. Quando, alcun anni dopo, mi trovai a insegnare storia e filosofia in licei e magistrali, raccontavo ai miei ragazzi come vi ero stata iniziata, annunciando che avrei agito all'opposto della modalità che avevo subito. L'entusiasmo dei giovani per la filosofia era enorme. Ero da poco entrata in monastero quando seppi che la classe che avevo portato alla maturità aveva avuto otto di media in filosofia, alcuni ragazzi 9, una 10. La commissione chiedeva chi fosse l'insegnante che aveva preparato la classe...Avrei avuto dei rimorsi per il mio rifiuto adolescenziale di Maria Goretti, specialmente quando lessi un suo libro di poesie d'amore in cui sognava di essere amata. Era una donna di mezza età sofferente, inappagata, io una ragazzina troppo immatura per capirla. Quando seppe che ero divenuta carmelitana scrisse a mia madre un biglietto commovente.
Nell'ambito della filosofia non posso ignorare un supplente che in terza liceo venne alcuni giorni al posto di Maria Goretti. Nicola Matteuccii, in seguito politologo, cofondatore de Il Mulino, teorico del costituzionalismo liberale, doveva essere alla sua primissima esperienza scolastica. Era talmente giovane - doveva avere 27 anni - , bello, roseo che fu subito soprannominato "il bambinello". Bravissimo, ci faceva lezioni splendide, a cui non eravamo abituati. Mi interrogò in filosofia e mi diede il primo otto dei miei tre anni...gorettiani, augurandomi, a me totalmente lontana dal prevederlo, di studiare all'Università filosofia.
Guidone Romangoli era docente di storia dell'arte. Le sue lezioni erano affascinanti. A volte portava in classe l'opera di un pittore, la esponeva alla vista di tutti, ci chiedeva di guardarla a lungo, e scrivere le nostre impressioni. Alcuni autoritratti ci educavano a intuire l'enigma dei volti.
L'insegnante di religione era un monsignore anziano, Carlo Fortini, di rara pazienza, parroco della Cattedrale: abitualmente faceva lezione a due di noi, a turno sistemati nei primi banchi col preciso dovere dell'ascolto. Gli altri erano liberi di dedicarsi ad altro. Di solito facevamo la battaglia navale, i più seri studiavano. Fui invitata a uscire dalla classe una sola volta, e fu dall'angelico mons. Fortini, che mi consigliò di fare una corsa in corridoio...Evidentemente non ascoltavo lui ma neppure facevo la battaglia navale...
Ho lasciato per ultimo il nostro docente più simpatico e più amato, Guido Barberis.
Uomo del sud, aveva tutto il calore della sua terra e la passione per il mondo classico (insegnava latino e greco) che ci comunicava in ogni lezione. Mai di routine, sempre pervasa da un calore straordinario, che coinvolgeva tutti. Sui trentacinque anni, vivacissimo, passeggiava tra le file di banchi declamando a memoria l'iliade in greco, ne ricordo ancora alcuni versi. Nelle interrogazioni spaziava ovunque; quando qualcuno nelle interrogazioni obiettava che il testo non parlava del tema richiesto, rispondeva con una seria allegria conquistatrice: "Cultura generale, cultura generale". Allargava i nostri orizzonti a spazi che ci faceva intuire infiniti. Era provocatorio e anche burlone. Faceva emergere dalla tasca l'Avanti, in un ambiente di ragazzi borghesi dalle famiglie presumibilmente di destra. Gemeva per il clima emiliano, rimpiangendo il sole della sua Calabria, in cui ritornava appena poteva. Arrivò a inventarsi una vacanza matrimoniale per fare una decina di giorni al sud. Tornò ovviamente single, sposò pochi anni dopo una nostra compagna di terza, una florida fanciulla bolognese, Fernanda Bonaiuti.
E' tutto, ed è nulla. Impossibile comunicare i valori umani che i nostri professori, tutti, ci trasmettevano. Non ricordo che all'epoca ce ne rendessimo conto. Il liceo classico era molto pesante, al nostro esame di maturità fummo gli ultimi a portare come programma, oltre a quello di terza, i "riferimenti" ai due anni precedenti che, essendo espressi in modo assai vago, comprendevano di fatto il programma dei tre anni.
Non credo che esprimessimo anche agli educatori della nostra adolescenza segni particolari di gratitudine. Con l'irruenza dell' età correvamo avanti, dimentichi del passato.
La vita ci ha poi educato alla vera memoria dei doni ricevuti, tra di essi i tre anni al liceo classico Minghetti. Ogni volta che un nostro compagno si è fatto vivo con me (in terza eravamo una ventina di maschi e sette ragazze) ha "commemorato" con gioia i nostri maestri. Ricordo fra tutti Giorgio Ghezzi, che, già gravemente malato, rammentava con dolcezza il caro Minghetti. Tutti i miei insegnanti poi, quando appresero casualmente il mio ingresso nella vita monastica, ne furono stupiti e commossi. Così i compagni, che le diverse facoltà universitarie forzatamente separarono, ma non divisero. Di noi sette ex fanciulle, le quattro rimaste conservano un rapporto indistruttibile.
suor Emanuela Ghini
carmelitana scalza
monastero "S. Teresa", Savona,
marzo 2017